La forte astensione dal voto ci dice che la politica ha perso e che la democrazia è in pericolo

10 Giugno 2015 Lascia un commento »

La tornata elettorale del 31 maggio scorso, per quanto limitata a 7 regioni e ad un migliaio di comuni, presenta risultati significativi su cui è bene svolgere qualche riflessione.
La prima, la più importante e negativa, riguarda la percentuale di non votanti che raggiunge ormai la metà degli aventi diritto. Questo dato segnala un malessere profondo e dà la misura della distanza ormai abissale tra la domanda e l’offerta politica al punto di mettere a rischio la reale rappresentatività non solo delle formazioni politiche ma delle istituzioni.
La grande astensione dal voto del resto è l’effetto combinato di messaggi contradditori tra populismo e dirigismo che vengono dal mondo della politica: basti guardare ai contenuti della legge elettorale e della cosiddetta riforma del Parlamento caratterizzata da un restringimento sostanziale del potere di scelta dei cittadini, così come accade per la cosiddetta riforma della scuola dove il potere viene assegnato ad un solo dirigente e per la riforma della RAI di fatto assoggettata all’esecutivo.
In un Paese in cui il Governo non perde occasione per affermare la sua supremazia e per disconoscere il valore della rappresentanza sociale non può sorprendere che al momento del voto ci sia disaffezione, difficoltà a riconoscersi in una delle proposte politiche in campo.
La democrazia è un esercizio difficile, faticoso, che non ammette scorciatoie dirigiste in nome di una presunta maggiore efficienza del sistema.
In un sistema democratico l’efficienza si misura anche con il grado di partecipazione che si riesce a realizzare alle scelte, poiché ciò incide sulla sua efficacia e sul suo consolidamento.
Sono queste le ragioni che spingono l’ANPI ad esprimere la propria contrarietà alle ipotesi ed ai provvedimenti volti a modificare la Costituzione ed il sistema elettorale.
La seconda riflessione riguarda il merito del voto e cioè i risultati conseguiti dalle singole forze politiche. Ogni partito o movimento cerca di dimostrare di avere vinto, si ostenta soddisfazione da parte di tutti ed il paradosso è che ognuno può essere soddisfatto.
Il PD perché conquista 5 regioni su 7, il M5S perché diventa il secondo partito, la Lega perché ha una forte crescita, Forza Italia perché conquista la Liguria, e via festeggiando. Ma questa è solo una parte di verità.
In realtà il PD ha perso quasi 2milioni di voti, il M5S ne ha persi 900mila, Forza Italia è ridotto al 10 per cento. Solo la Lega può legittimamente dire di aver aumentato i propri voti (circa 700mila), frutto di un evidente travaso di Forza Italia (che ne perde 600mila).
In questo quadro non si può che rilevare con preoccupazione che le posizioni razziste e xenofobe che si collegano ai movimenti italiani ed europei della destra estrema, strumentalizzando le ansie e le preoccupazioni presenti nelle nostre comunità, fanno presa sui cittadini e vengono orientate verso soluzioni autoritarie, negatrici di diritti elementari per coloro che fuggono dalle guerra e dalla fame e per tutti i cittadini.
Quando manca la capacità politica di governare i processi in atto, è naturale che finiscano per prevalere atteggiamenti e posizioni di protesta. C’è dunque bisogno di una politica inclusiva che sappia unire economia e giustizia sociale, che faccia leva sulle risorse umane e sul lavoro per costruire una società più coesa, solidale, impegnata nella difesa dei beni comuni, rispettosa delle leggi in quanto consapevole del loro significato. Ed è allora che si capisce che c’è bisogno della partecipazione, per dare spazio a forme sempre più diffuse di cittadinanza attiva e di impegno solidale, di consolidare ed allargare il campo dei diritti individuali e collettivi, piuttosto che retrocederli sul piano di bisogni personali monetizzabili. A partire dal lavoro, che deve essere posto al centro dell’agenda del Governo in termini di allargamento delle opportunità di vita per ricomporre un percorso sociale che consenta ad ogni cittadino di definire un progetto per il futuro.
A questo obiettivo può contribuire la ridefinizione di un sistema pensionistico che, riconoscendo quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale, recuperi le ingiustizie presenti nella Legge Fornero sia sul versante della flessibilità in uscita, sia su quello del rapporto tra contributi versati e pensioni erogate.

Carlo Sarpieri
Presidente dell’ANPI

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