A MELDOLA SI RICORDA LA STRAGE NAZIFASCISTA DELLA FORNACE

22 Agosto 2017 Lascia un commento »

SABATO 26 agosto alle ore 10 al Cippo della Fornace, MELDOLA, via Roma, incrocio con via Volta, si terrà la COMMEMORAZIONE del 73° ANNIVERSARIO della STRAGE della FORNACE.
Organizzata dal Comune di Meldola e dalla Sezione ANPI di Meldola, la celebrazione dell’eccidio nazifascista inizierà con l’introduzione di Paola Borghesi, Presidente Sezione ANPI di Meldola, e proseguirà con gli interventi di Gian Luca Zattini, Sindaco di Meldola e di Gianfranco Miro Gori, Presidente ANPI Provinciale di Forlì-Cesena.
Durante l’incontro si ricorderanno Don Pietro Tonelli e Padre Vicinio Zanelli, uccisi a Pieve di Rivoschio il 21 agosto 1944, lo stesso giorno della strage della Fornace.
Per “raccontare” e fornire maggiori informazioni sull’efferato eccidio da parte dei nazifascisti, perpetrato a Meldola, si riporta di seguito l’intervento che Paola Borghesi fece di fronte al Cippo, rivolgendosi a scolaresche meldolesi.
Paola BORGHESI – Presidente ANPI Sezione Meldola
(dopo il 25 luglio –caduta del fascismo- e 8 settembre –armistizio fra Italia ed angloamericani- nasce la Repubblica Sociale, risorge il partito fascista, e molti giovani vanno in montagna dove si comincia ad organizzare la Resistenza – NB sintesi dell’inquadramento generale)
Diciamo che una delle zone in cui si è concentrata la lotta partigiana è quella di Pieve di Rivoschio, che è un paese nel Comune di Sarsina distante da Meldola circa 25 chilometri.
E’ proprio lì che ha origine questo episodio della strage della Fornace.
Nell’agosto 1944, l’8 brigata Garibaldi, che raccoglieva la maggior parte dei partigiani saliti in montagna (c’erano anche altre formazioni come il battaglione Corbari dalle parti di Faenza, alcune brigate di pianura), era riuscita a organizzare la guerriglia con una tattica nuova e a uccidere e ferire numerosi tedeschi e a provocare il ritiro dei tedeschi dalla zona occupata dai partigiani.
I tedeschi non si rassegnarono alla sconfitta e se la presero coi civili, rastrellarono il territorio di Pieve di Rivoschio, portarono via molte persone prelevandole dai lavori nei campi.
Ho raccolto alcune testimonianze di parenti di queste vittime. Una figlia di Pasquale Soldati mi ha raccontato che il padre lavorava nel campo passarono dei tadeschi che gli chiesero la strada per Pieve di Rivoschio. Lui gentilmente si poffrì di accompagnarli e disse alla moglie “torno subito” e non è più tornato. Se lo sono portati via ed è morto qui dove siamo adesso.
La maggior parte di queste persone erano civili, che furono strappati ai loro lavori, alle loro famiglie. Sei di loro erano partigiani, alcuni molto giovani, per esempio Lombini Marcello aveva 17 anni solo 3 più di voi.
Insomma queste persone con tante altre rastrellate nelle colline a pieve di Rivoschio, di Bagnolo di Giaggiolo di Voltre di Santa Sofia furono portati a Meldola a piedi e stipati in 180 in un capannone qui vicino. Queste persone sfilarono per il paese sotto la minaccia di mitra puntati.
Ho incontrato persone che tutt’ora vivono a Meldola e che all’epoca erano bambini e ricordano di aver visto queste povere persone sfilare per il paese sotto la minaccia dei mitra.
Una persona che ora non c’è più è mia madre, che ricordava questo episodio come una cosa molto tragica, che l’aveva colpita e quasi piangeva quando lo raccontava, perché in questa lunga fila di persone aveva visto uno che aveva conosciuto quando insegnava come maestra elementare nelle colline, a Giaggiolo e a Castagnolo. Penso che fosse Mezzanotte Cesare di Giaggiolo un giovane di 28 anni padre di una figlia. Mia madre ha ricordato sempre questo fatto con molto dolore, pensando a queste persone che erano state strappate alle loro famiglie agli affetti, i più giovani lasciavano i genitori, quelli più grandi lasciavano dei figli, alcuni ne avevano molti perché allora non era come ora che se si fanno uno o due figli è già tanto, c’era chi aveva 6 o 7 o 8 o 9 figli come Castellucci Celso, Ceccaroni Angelo, Biondini Antonio, Soldati Pasquale.
Al giorno d’oggi questi figli o sono vecchi o sono morti, quindi si stanno perdendo le testimonianze su questi episodi.
Quindi noi dobbiamo cercare di salvare tutto quello che si può e di ricordare questi fatti perché non devono più accadere queste cose. Voi giovani dovete fare in modo che non esista più l’odio razziale, l’odio per il nemico, per chi non la pensa come noi.
Dobbiamo evitare di cadere in queste brutte cose, dobbiamo vivere in pace preservando quei valori di libertà e di democrazia che queste persone ci hanno tramandato
Queste persone furono lasciate senza mangiare e solo dopo 2 giorni fu consentito ad alcuni buoni cittadini meldolesi di portare da mangiare a questa povera gente.
I tedeschi il 21 agosto scelsero 18 di queste persone, prima di tutti quelli della zona di Pieve di Rivoschio, perché ritenevano che le popolazioni in quella zona avessero aiutato i Partigiani e quindi meritassero una punizione veramente atroce solo per aver dato da mangiare a dei giovani affamati. Furono sottoposti a interrogatorio e torturati
Queste 18 persone furono portate all’aperto di fronte a un muro e costrette a scavarsi la fossa
Ci sono delle testimonianze che sono riportate in diversi libri o anche oralmente su alcuni episodi accaduti qui per esempio ci fu un signore di Meldola (l’unico meldolese) che dopo aver scavato la fossa fu salvato in extremis per l’intervento del suo padrone ( faceva il bracciante in un’azienda di San Matteo) che era amico del federale fascista di Meldola.
Fu salvato in extremis e un altro prese il suo posto. Ci sono alcuni che pensano che il proprio parente abbia preso il posto di Leoni, non sappiamo chi sia stato comunque uno fu ucciso al suo posto. Quando Leoni raccontava questo episodio ci metteva qualche frase ironica per nascondere questo dramma perché lui sapeva che la sua salvezza era costata la vita a un’altra persona.
Un altro fatto brutto avvenuto quel giorno fu che i due giovani partigiani che erano stati catturati nella zona di monte Alio (Giusti Angelo e Nanni Lello) furono appesi al soffitto legati con una corda e sottoposti a scudisciate.
C’è anche una testimonianza trovata in un libro che una delle vittime Alessandrini Alessandro di 64 anni si ribellò a un tedesco che lo invitava a scavare più in fretta, colpendolo violentemente col badile . Subito gli spararono e fu il primo a morire
Anche su questo episodio c’è la testimonianza di un signore di Meldola, che all’epoca aveva una decina di anni e si trovava a giocare coi cugini in un orto qui vicino. Attirati dalle urla andarono a vedere e nascosti assistettero a questa triste scena della fucilazione di queste 18 persone che caddero sulla fossa e furono seppelliti da alcuni prigionieri prelevati dal capannone, sotto la minaccia di mitra puntati (alcune di queste vittime furono seppellite non ancora morte). Di questo episodio c’è la testimonianza scritta in un libro, di Sansavini Angelo che fu deportato in Germania e tornò a piedi alla fine della guerra.
Tanti sono stati i testimoni di questo episodio di efferata barbarie e a Meldola tanti lo ricordano o perché l’hanno visto o sentito raccontare dai familiari più anziani. Anche voi potete chiedere ai vostri familiari se qualcuno ricorda questa brutta storia.
C’è una testimonianza in un libro di Don Zanetti, sacerdote meldolese che ha partecipato alla Resistenza, dove racconta di aver incontrato un giovane meldolese in divisa fascista che disse: “ho il mitra ancora caldo per aver fucilato quei porci” Pensate che cosa orribile definire porci delle povere vittime innocenti, alcuni padri di famiglia, famiglie che a causa della morte del padre si erano trovate prive di sostentamento in grandi difficoltà.
Le vittime della strage della Fornace erano di età dai 17 anni di Lombini Marcello agli 82 di Mondardini Salvatore.
Nel nostro territorio sono avvenuti altri fatti di sangue oltre a questo che, sicuramente, è stato il più terribile. Ci sono dei cippi che ricordano i vari episodi sul nostro territorio, fra cui quello che si incontra andando dal Cippo della Fornace verso il centro di Meldola, che è il monumento al Partigiano sulla rotonda all’ingresso del paese, eretto nel 1983 per volere dell’amministrazione comunale in una posizione alla confluenza delle strade che portano alle colline e vuol ricordare tutti i Partigiani della vallata che combatterono in montagna.

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