Estratto da Cronache della Resistenza – 2014/N°2 e Cronache della Resistenza – 2014/N°3
Gioventù di un dittatore – Visita alla mostra sul giovane Mussolini
di Redazione di Cronache
Forlì non è la città del duce
Lunedì 3 giugno 2013 nel salone comunale di Forlì si tiene un confronto promosso dalla Fondazione Lewin, dall’Istituto Storico per la Resistenza, l’ANPI, l’AMI e l’associazione Forlì Città Aperta, dal titolo “Forlì non è la città del duce”. L’incontro ha lo scopo di chiarire l’origine dell’impegno profuso da enti ed istituzioni della provincia di Forlì-Cesena nella promozione di iniziative storico-culturali riguardanti il ventennio della dittatura fascista anche alla luce di un grave episodio vandalico di connotazione neofascista perpetrato poche settimane prima ai danni di un’insegnante.
Aprono la serata gli interventi di Gianni Saporetti, Presidente della Fondazione Lewin, del Sindaco di Forlì Roberto Balzani e del Sindaco di Predappio Giorgio Frassineti. L’intervento di Saporetti si conclude con un auspicio: “…spero proprio che la città non voglia mettere a profitto il fatto di aver dato i natali a uno dei peggiori dittatori del ’900”. Ma è proprio durante questa serata che viene anticipata la realizzazione di una esposizione dedicata alla gioventù di Benito Mussolini.
A distanza di qualche mese, il 28 settembre 2013, viene inaugurata a Predappio presso la casa natale del dittatore la mostra “Il giovane Mussolini” alla presenza di stampa e autorità.
La realizzazione
L’esposizione, patrocinata dal Comune di Predappio, dal Comune di Forlì e dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì è tecnicamente realizzata da un’agenzia di comunicazione che ne cura tutti i dettagli e l’immagine coordinata con la quale vengono realizzati sito internet, i gadget con l’effige di Mussolini e lo striscione all’ingresso del paese.
Sul sito del Comune di Predappio è infatti disponibile la comunicazione di aggiudicazione del bando di gara “Casa natale Mussolini: Mostre 2013/2014-2014/2015. Affidamento in concessione di servizi di comunicazione, logistici e sussidiari”. Il sito internet dedicato alla mostra, oltre a riportare le informazioni logistiche, mette a disposizione degli utenti un negozio online attraverso il quale acquistare i gadget della mostra, il collegamento alla pagina facebook ed un’area riservata alla stampa. Il comunicato stampa diffuso a presentazione della mostra ci informa che il comitato scientifico che ha curato il percorso museale è composto da quattordici studiosi illustri di fama internazionale.
Presidente del comitato scientifico è Maurizio Ridolfi, professore straordinario di Storia contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università della Tuscia, dove presiede il Centro Studi per la Storia dell’Europa Mediterranea. Fanno parte della commissione anche i due Sindaci di Predappio e Forlì, Giorgio Frassineti e Roberto Balzani, e l’ex Sindaco di Cesena Giordano Conti, Francesco Billi laureato all’Accademia di Belle Arti di Bologna e Assessore alla Cultura, Turismo, Comunicazione e Sport del Comune di Predappio e Sara Samorì dottoressa di ricerca in Storia dell’Età Contemporanea e consigliere comunale; questi cinque membri del comitato oltre ad essere studiosi di fama internazionale sono accomunati dalla sicura fede antifascista.
Un altro noto personaggio politico facente parte della commissione è Giancarlo Mazzuca, ex deputato del Popolo della Libertà che contestualmente alla mostra presenta il suo nuovo libro con prefazione di Vittorio Feltri “Il compagno Mussolini”. Fa parte della commissione anche Franco Moschi, imprenditore predappiese, Presidente dell’Associazone DVX, ma soprattutto collezionista e proprietario di parte dei documenti sulla vita del dittatore esposti nella mostra. Da una intervista rilasciata dall’imprenditore ad un noto quotidiano online apprendiamo del legame tra Moschi e Mussolini: “C’era una parentela tra il mio bisnonno e Benito: erano cognati”.
In altre interviste l’imprenditore ripete di aver messo a disposizione della mostra la propria collezione al fine di mostrare “il vero Mussolini”. Altro membro autorevole della commissione è Luigi Lotti, preside della Facoltà di Scienze politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze e Presidente dell’Istituto Storico Italiano per l’Età Moderna e Contemporanea. In occasione del LXIII Convegno annuale della Società di Studi romagnoli organizzato nel 2012 a Predappio Lotti descrive così il fascismo:
“Il fascismo italiano fu il primo in Europa a cambiare il sistema parlamentare in un regime a partito unico e a prefiggersi una forte valorizzazione dell’Italia sul piano internazionale, ad affermare l’ordine interno tramite l’annientamento della minaccia comunista, l’identificazione con il mondo della produzione e del lavoro inquadrato nelle corporazioni, la nuova immagine di un paese che si identificava in un capo che sapesse interpretarne e attuarne le aspirazioni di tutti”.
La visita
Il primo a sollevare dubbi sulla mostra è il giornalista Alfio Bernabei con l’articolo pubblicato sulla rivista “Searchlight Magazine” (disponibile nel numero di dicembre 2013 di Cronache della Resistenza), dal titolo: «Mussolini “innocente” rilanciato in una mostra», dove pone il problema della “mostra amputata”. “è possibile montare una mostra su Mussolini senza il fascismo? (…) a quale scopo?”, si chiede il giornalista. Giorgio Frassineti sulle pagine di un giornale locale risponde alle critiche: “Ma è venuto a vedere la mostra, prima di scrivere un articolo? – esordisce – Abbiamo iniziato un percorso storico, che vedrà altre mostre, ed altre tappe, con un gruppo di studiosi composto, tra gli altri, da Maurizio Ridolfi, il maggiore storico italiano del periodo, Roberto Balzani, ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Bologna e lo storico e scrittore Vittorio Emiliani”. “Lo abbiamo fatto con grande coraggio, perché è la prima volta che si fa una mostra su Mussolini. Predappio deve riprendersi la propria storia, uscire da un mondo costruito solo dai nostalgici e dai gadget. Noi abbiamo dei grandi nemici: il pregiudizio e la banalizzazione della storia. Sappiamo che ogni cosa che facciamo è sotto la lente di ingrandimento. Tutti vogliono parlare di Mussolini, io lo devo gestire, prendendomi grosse responsabilità”.
Per non incappare nello stesso rimprovero fatto a Bernabei la redazione di Cronache della Resistenza ha visitato la mostra in gruppo e singolarmente in giorni diversi proprio per aver modo di osservare con attenzione i due aspetti più interessanti della mostra: il materiale esposto ed i visitatori.
È proprio Franco Moschi ad accogliere alcuni di noi durante la prima visita e a fare gli onori di casa. È molto gentile. A tutti i visitatori chiede la provenienza ed illustra il percorso dell’esposizione. Apprendiamo con rammarico che all’interno della mostra non è possibile fare foto.
La mostra si svolge lungo una linea cronologica ed è suddivisa sui due piani della casa natale dell’ex-dittatore. Al piano terra troviamo alcune informazioni sulle origini, l’infanzia, gli studi, gli anni in Svizzera, fino alla morte della madre; mentre al primo piano troviamo il periodo che va dal 1905 fino al 1914, terminando con l’espulsione dal partito Socialista e la fondazione de “Il popolo d’Italia”.
Piano terra
Nella prima sala alcuni pannelli illustrano le origini del nome completo “Benito Amilcare Andrea”, deciso dal padre socialista anarchico in onore di Benito Pablo Juárez rivoluzionario messicano, di Amilcare Cipriani patriota e socialista e di Andrea Costa socialista fondatore dell’Avanti, che Mussolini dirigerà e la cui sede verrà distrutta dalle squadracce fasciste per due volte.
Subito all’inizio del percorso troviamo alcune cartoline d’epoca di Predappio che riportano la fonte battesimale, la quercia del duce ed il cimitero, corredate da una frase tratta dalla Biografia di Mussolini di Antonio Beltramelli: “Chi parlava prima di questa borgata di niente?”. Vengono poi presentati il fratello Arnaldo, anch’esso coinvolto nella creazione della dittatura fascista, e la sorella Edvige. In fondo alla sala, accanto al busto in bronzo del padre Alessandro Mussolini, è esposta la grande bandiera nera e rossa della “Sezione Socialista Dovia” con il motto ricamato “Fate largo che passa il lavoro”.
Prima di passare alla seconda sala ci soffermiamo davanti al pannello di presentazione della mostra dal quale spicca il fondamentale apporto di Moschi che, oltre a prestare i cimeli della sua collezione, compare alla voce coordinamento scientifico ed alla voce contenuti storici e didascalie, oltre che come curatore dell’accurata bibliografia delle opere riportata nella seconda sala.
Nella sala successiva sono presenti alcune immagini e documenti del periodo scolastico di Mussolini. Uno dei reperti è una foto del Mussolini quattordicenne in posa con gli alunni dell’istituto magistrale “Valfredo Carducci” di Forlimpopoli, nell’anno scolastico 1897. Mussolini entrò all’istituto Carducci nel 1894 e ne uscì con il diploma di maestro nel 1901. Dello stesso periodo sono esposti alcuni temi di pedagogia ed una pagella.
I visitatori sorridono teneramente davanti alla stampa fotografica del Benito quattordicenne. Le successive tappe della linea cronologica ci portano al periodo svizzero. Nell’estate del 1902 infatti il futuro duce per sfuggire al servizio di leva emigrò in Svizzera, dove si dedicò all’attività sindacale ed iniziò l’attività giornalistica. Si stabilì a Losanna, dove si iscrisse al sindacato dei muratori, di cui sarebbe divenuto segretario. Cominciò allora la sua attività di pubblicista (traduttore e divulgatore) e collaboratore di giornali socialisti, tra i quali “L’Avvenire del Lavoratore” di Lugano, per il quale scrisse i suoi primi pezzi giornalistici. Venne tuttavia espulso due volte dal paese, una delle quali a causa di un permesso di soggiorno falsificato. A giudizio delle autorità svizzere Mussolini è un immigrato che non si vuole integrare.
In una teca di questa sala è esposto l’opuscolo “L’uomo e la divinità” del 1904 che contiene il risultato di un contraddittorio tenutosi a Losanna tra Mussolini ed il prete evangelista Alfredo Taglialatela nel quale colui che in futuro diverrà l’Uomo della Provvidenza nega l’esistenza di Dio. L’esposizione al piano terra si chiude con una lettera scritta da Mussolini ad Alfredo Polledro il 2 aprile 1905, durante il lutto per la morte della madre.
È qui che assistiamo alla scena di una mamma che chiede alla figlia di leggere ad alta voce il pannello posto a fianco della lettera; al termine della lettura le annuncia con soddisfazione che “il nonno a casa ha una cartolina con la Sua firma”, suscitando la meraviglia della bambina.
L’esposizione al piano terra ci restituisce un Mussolini diametralmente opposto al dittatore fascista: renitente alla leva, immigrato, sindacalista, sovversivo e agitatore politico, ateo anticlericale. Saliamo le scale esterne e raggiungiamo il primo piano dove si respira tutta un’altra aria.
Primo piano
L’esposizione al primo piano si svolge su quattro stanze e nel corridoio.
In tutte le stanze i reperti sono intervallati da grandi citazioni di e sul dittatore. Nella prima stanza un grande cartellone ci annuncia che “in questa stanza nacque Benito Mussolini domenica 29 luglio 1883 ore 14.45”. Opera di punta della sala il calendario socialista del 1910, un taccuino tascabile recante nel frontespizio il ritratto del figlio del fabbro e intercalate alle pagine altre immagini di protagonisti del socialismo triestino dell’epoca. Sono presenti inoltre alcuni documenti su Cesare Battisti ed una terracotta raffigurante il patriota irredentista.
Proseguendo lungo il percorso a metà del corridoio sulla sinistra una installazione scompone il testone del dittatore nelle alzate della scalinata che porta al sottotetto, mentre in fondo al corridoio è posta una grafica rappresentante il volto del duce composto da tante immagini, come è in uso fare con le icone pop del ventesimo secolo come Bob Marley o i Rolling Stones. La stessa grafica è utilizzata per i gadget della mostra.
Una intera sala è dedicata alla proiezione del video promozionale della mostra che vede intervallarsi i commenti dei membri del comitato scientifico con un sottofondo musicale enfatico. Per tutto il piano risuona l’audio a ciclo continuo, una voce ci ripete ciclicamente che “Si tratta di un rilancio della figura di Mussolini”.
Nella seconda sala troviamo alcune opere d’arte di Pietro Angelini. Una intera parete è occupata dall’opera realizzata nel 1911 “Mussolini con violino”, un carboncino su carta proveniente dall’archivio storico DVX, che ritrae Mussolini intento a suonare il violino alla figlia Edda che riposa in una culla e alla moglie Rachele. Alla sinistra dell’opera a grandi lettere è riportata la frase “Chi sta sulla piattaforma della vita politica senza inimicarsi qualcuno, è un vile o un idiota!”. Un embrione dell’insensato motto fascista “Molti nemici molto onore”? Mentre alla destra altre due frasi prese da “La Lotta di Classe” del 1910: “Alla quantità noi preferiamo la qualità. Al gregge obbediente, rassegnato, idiota, noi preferiamo il piccolo nucleo risoluto, audace, che ha dato una ragione alla propria fede”. E ancora: “I vostri cervelli, come gli stomachi vostri, o proletari, non hanno bisogno di essere storditi o illusi, ma nutriti”, frasi che contengono l’enfasi propria della propaganda di regime che una decina di anni più tardi ammorberà l’Italia intera.
Su di un’altra parete troviamo l’“Arresto di Mussolini a Predappio”, dipinto ad olio del 1910 che ritrae Mussolini arrestato e scortato da una buon numero di Carabinieri verso le carceri di Forlì. Il 14 ottobre 1911 Mussolini venne nuovamente arrestato a Forlì, a seguito dei disordini legati allo sciopero generale contro la guerra in Libia a cui aveva partecipato. Alla destra del quadro vengono riportate a grandi lettere le parole pronunciate durante il conseguente interrogatorio presso il tribunale di Forlì:
“Ebbene, io vi dico, signori del Tribunale, che se mi assolverete mi farete piacere, perché mi restituirete al mio lavoro, alla società. Ma se mi condannerete mi farete onore, perché vi trovate in presenza non di un malfattore, ma di un assertore di idee, di un agitatore di coscienze, di un milite di una fede che si impone al vostro rispetto, perché reca in sé i presentimenti dell’avvenire e la forza grande della verità”.
La frase, estrapolata dal contesto originale, parla della militanza per una fede che è quella socialista, ma diventerà l’oscura profezia di un regime sanguinario. L’ambiguità dell’estrapolazione apre a interpretazioni diverse. Nella mente del visitatore mussoliniano la verità dalla quale scaturisce una grande forza è rappresentata dal fascismo.
Raggiungiamo l’ultima sala dedicata all’espulsione di Mussolini dal Partito Socialista, a seguito del cambio di posizione dalla neutralità all’interventismo nella prima guerra mondiale, e alla fondazione de “Il Popolo d’Italia”. Sulla prima parete troviamo una affermazione di Mussolini tratta dal Congresso socialista di Ancona del 27 aprile 1914:
“Il partito non è una vetrina per gli uomini illustri. Gli uomini sono lo strumento dei partiti e non mai i partiti devono essere strumento nelle mani degli uomini”.
Una nobilissima espressione che fa onore al Mussolini socialista deliziando il visitatore simpatizzante, tanto quanto disonora il dittatore fascista data l’incoerenza con gli ideali giovanili. Pezzo interessante della sala proveniente dalla collezione dell’Archivio Storico DVX è il numero unico del dicembre 1914 titolato “Popolo d’Italia… Avanti!”, giornale satirico dedicato all’espulsione di Mussolini dal Partito Socialista.
Il giornale, come nell’originale, riporta ai lati della testata le frasi di Auguste Blanqui e di Napoleone, ma storpiate: “Chi ha del fegato ha del pane” al posto di “Chi ha del ferro ha del pane” e “La Rivoluzione è un’idea che ha trovato marionette” al posto dell’originale “La Rivoluzione è un’idea che ha trovato delle baionette”.
Un altro simpatico pezzo esposto è la cartolina satirica di Domenico Natoli del 1914 raffigurante un Mussolini crocifisso da Turati che porta in mano un’enorme forchetta con su scritto “INTERNAZIONALE”. La didascalia recita: “Quando del canto migliorò la voce, dal rigido padron fu messo in croce”. L’espulsione di Mussolini dal Partito Socialista è datata 24 novembre 1914, dieci giorni prima ha fondato “Il Popolo d’Italia”.
Nella sala sono esposte alcune fotografie della sede e delle rotative per la stampa del nuovo giornale, ed è subito evidente come il repentino cambiamento di posizione circa l’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale è accompagnato da un notevole miglioramento delle sue condizioni economiche. Al suo arrivo a Milano Mussolini avrebbe rifiutato le settecento lire di stipendio percepite dal suo predecessore accontentandosi di cinquecento, ma ora, a due anni di distanza fonda la sede di un nuovo giornale. La mostra non fa luce sulla provenienza dei finanziamenti ottenuti dal duce per la fondazione di un giornale che perorasse la causa interventista.
L’ultimo reperto esposto è una copia del primo numero de Il Popolo d’Italia del 15 novembre 1914 con un editoriale dal titolo “AUDACIA!” firmato da Mussolini e una vignetta in basso che raffigura un milite austro-ungarico con la scritta “La minaccia ai confini delle nazioni IL BANDITO DALL’ELMO CHIODATO”.
La mostra si chiude sull’ennesima citazione stampata sul muro “Voi credete di perdermi: vi illudete. Voi mi odiate perché mi amate ancora. Mi amate ancora perché sono e sarò socialista” pronunciata al Teatro del Popolo di Milano in occasione della sua espulsione dal Partito Socialista.
Mentre usciamo dall’ultima stanza ci giunge il commento di un visitatore attempato dal bonario accento milanese che soddisfatto avviandosi giù per le scale riflette ad alta voce: “Era un bell’uomo con i baffi, chissà perché se li è tolti?”. Lo incontreremo poco dopo all’ingresso di uno dei macabri negozi di souvenir.
Le citazioni
Le citazioni stampate a grandi lettere sulle pareti del piano superiore attraggono l’attenzione dei visitatori più di qualsiasi altro reperto esposto. Non è difficile capire il perché. Sono state scelte accuratamente:
“Benito Mussolini, direttore dell’“ Avanti!”, è il socialista dei tempi eroici. Egli sente ancora, ancora crede, con uno slancio pieno di virilità e di forza. È un Uomo”
Leda Rafanelli – “La Libertà” del 22/03/1913 n.4
“A quei socialisti rivoluzionari che, come Benito Mussolini sono rivoluzionari sul serio e parlano come pensano, e operano come parlano, e perciò portano in sé tanta parte dei futuri destini d’Italia”
Gaetano Salvemini – da “L’Unità” del 19 giugno 1914
“Pur trovandomi sovente in contrasto con Lui, pure affrontandolo in numerosi contraddittori, pure polemizzando spesso sui giornali locali, mi sentivo più vicino a lui che ai riformisti”
Pietro Nenni – “Vent’anni di fascismo”, Milano, 1965
“Uno spirito d’acciaio, al servizio di una formidabile volontà. Eccovi Benito Mussolini”
Torquato Nanni, 1915
Le biografie di Rafanelli, Salvemini, Nenni e Nanni testimoniano quanto quelle affermazioni lusinghiere fossero errate, ma di queste sul muro non c’è traccia.
Poniamo rimedio a questa mancanza.
Leda Rafanelli
Leda Rafanelli è stata un’anarchica italiana, scrittrice ed esponente dei futuristi di sinistra di fede islamica sufista. La frase riportata dagli autori della mostra è presa dalla rivista “La Libertà” del 22 marzo 1913.
Leda nasce a Pistoia il 4 luglio 1880 e trascorre l’adolescenza ad Alessandria d’Egitto dove matura la sua adesione all’anarchismo e dove avviene la conversione all’islam. Rientrata in Italia frequenta gli scrittori italiani più conosciuti dell’epoca, i rappresentanti del futurismo e collabora a svariate pubblicazioni libertarie.
Nel 1910 fonda la più importante casa editrice Libertaria italiana “Libreria Editrice Sociale” grazie alla quale pubblicherà le riviste “La Rivolta” e “La Libertà”. E’ nel 1913 che il futuro duce inizia a corteggiarla ed inizia una relazione epistolare che tuttavia non avrà mai un seguito per via degli scrupoli di Leda «perché Mussolini le parlò della sua “domestica tribù” dicendo che doveva portarli al mare. E fra tante idee “peregrine” di Leda c’era, fondamentalmente, questa: mai rovinare una famiglia» scrive la ricercatrice Alessandra Pierotti.
La svolta interventista del futuro dittatore sancisce la rottura definitiva della relazione. Con la presa al potere del fascismo nel 1922 cessano le pubblicazioni della Libreria Editrice Sociale e la Rafanelli è costretta al silenzio politico, riuscendo tuttavia a pubblicare sotto pseudonimo. Durante tutto il ventennio sarà sorvegliata dalla polizia. Le lettere intercorse tra Mussolini e la Rafanelli non furono mai trovate durante le numerose perquisizioni che la polizia fascista effettuò a casa della donna e nei locali della casa editrice. Erano state portate al sicuro in Romagna e conservate dal pittore Luigi Melandri. L’epistolario è costituito da quaranta lettere inviate alla Rafanelli dal futuro dittatore fascista che nel dopoguerra verranno poi raccolte in un libro dal titolo “Una donna e Mussolini”.
Gaetano Salvemini
La citazione di Gaetano Salvemini è stata raccolta dall’articolo pubblicato sull’Unità del 19 giugno 1914 “Una rivoluzione senza programma”.
Già nel 1919 Salvemini dimostra la sua avversione al fascismo quando, candidato in una lista di ex combattenti, viene eletto come deputato e rifiuta l’adesione al movimento offertagli da Mussolini. L’anno seguente, il 12 agosto del 1920, in un intervento alla Camera Salvemini dimostra che Mussolini ha finanziato la campagna elettorale fascista a Milano spendendo circa mezzo milione di lire (di allora!) che un gruppo di italiani emigranti in America aveva sottoscritto per tutt’altri scopi. Il mezzo milione viene utilizzato infatti da Mussolini per pagare degli uomini armati, in ragione di 30 lire al giorno, per combattere i socialisti durante la campagna elettorale. Mussolini, adiratissimo, lo sfida a duello; Salvemini risponde che accetta di battersi se Mussolini può provare di non essere un ladro. Il duello non ha più luogo. Per parte sua Mussolini si vendica attaccando Salvemini sul Popolo d’Italia ed accusandolo di essersi rifiutato di battersi per paura: “L’on. Salvemini è un miserabile, è un vigliacco, degno di essere, come sarà certamente, sputacchiato sugli occhi da me e dal primo fascista che avrà occasione d’incontrarlo… La faccenda avrà un seguito e il sig. Salvemini pagherà lo scotto che deve. Ne prendiamo formale impegno davanti al nostro pubblico.”
Nel 1925 Salvemini è uno dei firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce pubblicato il 1° maggio 1925 sul quotidiano Il Mondo in risposta al Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile. Successivamente fonda insieme ai Fratelli Rosselli e a Nello Traquandi il “Non Mollare”, il primo foglio clandestino di lotta antifascista, uscito a Firenze dal gennaio al luglio 1925.
E’ proprio per un articolo pubblicato su questo giornale che viene arrestato dalla polizia fascista l’8 giugno 1925. Grazie all’amnistia concessa in occasione del venticinquesimo anniversario del regno di Vittorio Emanuele III il 31 luglio esce dal carcere e riesce a espatriare clandestinamente in Francia.
Viene raggiunto a Parigi dai fratelli Rosselli con i quali fonda nel 1929 il movimento Giustizia e Libertà che in Italia durante la guerra di Liberazione darà vita alle omonime brigate partigiane. Durante il suo esilio all’estero sarà autore di numerosi scritti sul fascismo: The fascist dictatorship in Italy (1928), Mussolini diplomate (1932), Under the axe of fascism (1936), Italian Fascist Activities in the U.S. (1940), Prelude to world war II (1953).
Pietro Nenni
Non viene indicato il periodo storico nel quale Pietro Nenni si pronuncia vicino al giovane socialista Mussolini. Originario di Faenza, Pietro Nenni Leda Rafanelli nasce il 9 febbraio 1891 e fin dalla giovinezza mostra un temperamento ribelle. Per aver partecipato ad uno sciopero nel 1908 viene licenziato dal lavoro e contemporaneamente espulso dall’orfanotrofio dove era stato accolto alla morte del padre. In questo periodo appaiono i primi articoli che portano la sua firma, si iscrive al Partito Repubblicano e promuove scioperi politici in Lunigiana fra i cavatori di marmo e scioperi di protesta per la fucilazione in Spagna del rivoluzionario Francisco Ferrer Guardia, diventa inoltre direttore del settimanale “Il Pensiero Romagnolo”.
Nel 1911 Nenni viene condannato ad un anno di carcere per aver organizzato lo sciopero contro la guerra di Libia, in questa occasione condivide la detenzione con Mussolini con il quale aveva già collaborato nella redazione del giornale “La lotta di classe”. Nel 1918 dalle pagine del “Giornale del Mattino” di Bologna ingaggia una dura polemica giornalistica con Mussolini riguardo la causa del combattentismo interventista e a difesa di esponenti del socialismo. Il 23 marzo del 1921 una squadraccia fascista devasta la sede dell’Avanti!, Nenni accorre alla sede del giornale per dare manforte alla sua difesa.
Inviato a Parigi come corrispondente dell’Avanti abbandona il Partito Repubblicano e aderisce al Partito Socialista. L’ultimo incontro con Mussolini avviene a Cannes nel maggio del 1922; nel maggio dello stesso anno è nominato redattore capo dell’Avanti! che difende ai primi d’agosto da una nuova aggressione fascista.
Il 2 marzo 1923 viene convocato dal questore di Milano, che a nome di Mussolini, gli intima di cessare la campagna denigratoria contro il Prefetto di Milano; Nenni rifiuta e viene arrestato. In Questura gli viene chiesto di sottoscrivere un documento di sottomissione. Si rifiuta e scrive “all’Eccellenza Mussolini” ricordandogli che da uomini di sinistra sono stati condannati insieme dal Tribunale di Forlì e chiude sferzante: “Permettetemi di meravigliarmi che un uomo che viene dal socialismo, che il figlio di un internazionalista che ha sentito raccontare dal padre attraverso quali indicibili ostacoli il socialismo è passato, caschi nell’illusione dei conservatori vissuti fuori dal popolo e lontani dal proletariato, che vi siano misure di polizia, restrizioni di libertà, mezzi inquisitori, capaci di arrestare il corso di un’Idea. Il socialismo passerà Eccellenza Mussolini!”
L’assassinio di Matteotti nel 1924 vede in Nenni una delle punte più acuminate nell’accusa contro il duce, gli vengono comminati 6 mesi di carcere per l’opuscolo “L’assassinio di Matteotti e il processo al regime”. Il 1926 è l’anno dell’incontro con un giovane intellettuale socialista, Carlo Rosselli col quale pubblica la rivista “Quarto Stato”. Sempre nel 1926 un gruppetto di fascisti terrorizza la figlia Vittoria mentre sta andando a scuola. “Faremo fare a tuo padre la stessa fine di Matteotti!” gridano alla bambina di appena 11 anni.
Dopo la devastazione dell’appartamento nel quale abita con la famiglia, Nenni decide di intraprendere la via dell’esilio a Parigi. Negli anni dell’esilio in Francia promuove la costituzione della Concentrazione di azione antifascista, della quale diviene il segretario generale. Durante la guerra di Spagna combatte al fianco dei democratici, provenienti da tutto il mondo, inquadrati nelle Brigate Internazionali, di cui fu uno dei massimi dirigenti e commissari politici. Rientra in Francia dopo la caduta di Barcellona, alla fine di gennaio del 1939 dove rimane fino al 1940 anno in cui viene catturato dai nazisti che lo consegnano ai fascisti italiani. Confinato a Ponza apprende della morte ad Auschwitz della figlia Vittoria. Durante la guerra di Liberazione prende parte alla Resistenza e, durante l’occupazione tedesca di Roma, è uno dei membri più influenti delle Brigate Matteotti.
Torquato Nanni
Torquato Nanni nasce il 4 febbraio 1888 a Santa Sofia e fin dalla giovane età si iscrive al Partito Socialista. Viene temporaneamente allontanato dal partito per la sua scelta interventista, ma nel 1922 rientra e gli rimane fedele per tutta la vita nonostante l’amicizia con Mussolini e lo squadrista fascista Arpinati.
Di professione avvocato, è anche pubblicista ed esercente tipografico si produce anche in una vivace attività giornalistica militante oltre a rivestire più volte l’incarico di sindaco di Santa Sofia. Con Mussolini dal 1909 al 1915 intrattiene un fitto scambio epistolare e nel 1913 lo segue trasferendosi a Milano per collaborare al giornale Avanti!. Nel 1914 abbraccia la posizione interventista e durante la direzione del giornale bolognese “La riscossa” incontra Leandro Arpinati.
Nel 1915 torna a collaborare con Mussolini nella redazione del Popolo d’Italia e pubblica per La Voce l’opuscolo “Benito Mussolini”, la prima biografia del futuro duce. Pur nell’isolamento dal Partito Socialista continua l’attività politica come indipendente venendo eletto al Consiglio provinciale di Firenze e rieletto sindaco di Santa Sofia nel 1920 nella cui veste viene fatto bersaglio di pesanti attacchi da parte della stampa fascista fiorentina.
Durante la marcia su Roma, con l’avallo di Mussolini, viene sequestrato da una squadraccia fascista locale che col proposito di ucciderlo lo conduce prigioniero a Rocca San Casciano. In suo aiuto accorre da Bologna l’amico Arpinati che con un gruppo di fascisti armati lo libera rischiando lo scontro fisico con gli squadristi tosco–emiliani. Questo avvenimento sancisce il lega me indissolubile con Arpinati che lo porterà a condividerne i destini politici ed esistenziali sino alla morte. Durante il ventennio si dedicò soprattutto all’attività tipografica. Nel 1924 pubblica “Bolscevismo e fascismo al lume della critica marxista” nel 1927 “Leandro Arpinati e il fascismo bolognese”, biografia laudativa dell’amico gerarca, di cui appoggiava incondizionatamente l’azione e le realizzazioni fasciste, ma che fu tolta dalla circolazione per volere di Mussolini. Rimane invece inedito l’opuscolo Polemica su Mussolini e il fascismo.
Nel 1933 la caduta del fascista Arpinati lo priva di protezione; viene spedito in confino a Lanusei, in Sardegna, e poi trasferito a Partina ad Arezzo; nel 1934 rientra a Santa Sofia dove vive in ritiro fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Alla caduta del fascismo vede riconosciuto il suo antico prestigio politico (è lui a tenere un comizio in piazza a Santa Sofia il 25 luglio) e assume un ruolo attivo nella Resistenza nella zona. Fra l’inverno e la primavera 1943–44 si prodiga ad organizzare il salvataggio di un gruppo di alti ufficiali inglesi prigionieri di guerra. Nel frattempo erano ricominciate anche le persecuzioni dei fascisti della Repubblica sociale, che più volte fanno irruzione nella casa di Nanni con intenzioni omicide, fino a costringerlo nel marzo 1944 a riparare a Malacappa (Bologna), ospite di Arpinati, per avere salva la vita.
Viene ucciso insieme ad Arpinati da un commando a Malacappa il 22 aprile 1945 in circostanze mai chiarite. Questo episodio diventerà fonte di tesi complottistiche e strumentale al revisionismo antipartigiano più becero.
Post Scriptum
Al momento dell’impaginazione dell’articolo la redazione apprende dalla stampa che è in corso un progetto per la realizzazione di una mostra permanente su Mussolini e sul fascismo da realizzare nell’ex casa del fascio di Predappio.
Ci auguriamo che questa mostra comprenda finalmente il Mussolini fascista e parta dalle violenze tra il 1919 e il 1922. Che racconti quella farsa che è stata la marcia su Roma che ogni anno viene celebrata illegalmente a Predappio, e che racconti il delitto Matteotti e le violenze contro gli oppositori politici al regime. Che riporti i numeri inquietanti del Tribunale Speciale Fascista attivo dal 1926 al 1943. Che racconti dei crimini di guerra commessi con la responsabilità diretta di Mussolini nelle fallimentari guerre imperialiste ai danni delle popolazioni di Libia, Etiopia, Spagna, Albania, Grecia, Francia, Russia… e dei milioni di italiani mandati a morire. Che infine racconti di Salò, l’ultimo ignobile atto del regime fascista nei confronti del popolo italiano ostaggio di un dittatore per vent’anni. Suggeriamo di seguito alcune frasi da stampare sui muri delle sale di questa mostra:
“Quanto a me, sono sempre più fermamente convinto che per la salute dell’Italia bisognerebbe fucilare, dico fucilare, nella schiena, qualche dozzina di deputati, e mandare all’ergastolo un paio almeno di ex ministri. Non solo, ma io credo con fede sempre più profonda, che il Parlamento in Italia sia un bubbone pestifero. Occorre estirparlo.”
Benito Mussolini, discorso interventista, 15 maggio 1915.
“Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone… I confini dell’Italia devono essere: il Brennero, il Nevoso e le Dinariche… Io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”
Benito Mussolini, discorso tenuto a Pola il 24 settembre 1920.
“Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi”
Benito Mussolini, discorso sul delitto Matteotti, 3 gennaio 1925.
“Autorizzato impiego gas come ultima ratio per sopraffare resistenza nemico et in caso di contrattacco” Benito Mussolini, telegramma a Rodolfo Graziani che autorizza l’impiego di armi chimiche contro la Resistenza etiope, Roma, 27 ottobre 1935.
“È in relazione con la conquista dell’Impero, poiché la storia ci insegna che gli Imperi si conquistano con le armi, ma si tengono col prestigio. E per il prestigio occorre una chiara, severa coscienza razziale, che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime.”
Benito Mussolini, discorso a Trieste del 19 settembre 1938.
“Mi serve qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative”
Benito Mussolini, colloquio con Pietro Badoglio del 26 maggio 1940 in relazione alla dichiarazione di guerra alla Francia.
“So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori”
Benito Mussolini ai soldati della Seconda Armata in Dalmazia, 1943.