Il 29 aprile scorso, a Milano, nell’anniversario della morte del militante neofascista Sergio Ramelli, si è tenuto un concerto nazirock. Quella del 29 aprile a Milano è una delle date ormai consuete di ritrovo per il neofascismo italiano.
Nel 2013, sedici militanti di estrema destra erano stati rinviati a giudizio per il reato di apologia del fascismo per avere eseguito il saluto romano durante il corteo in un tripudio di croci celtiche. Per la stessa imputazione e nella medesima occasione, altri dieci militanti erano stati denunciati nel 2014, ma è di poche settimane fa la notizia che il GUP ha prosciolto tutti perché “il fatto non sussiste”.
La maggior parte dei momenti di attività politica delle organizzazioni neofasciste passa proprio dalle commemorazioni. Non ci sarebbe nulla di male nel ricordare i morti, la pieta è per tutti, ma in questi casi il fine è evidentemente: creare occasioni durante le quali poter fare appunto “apologia di fascismo”. Pura strumentalizzazione.
Il vittimismo è la porta da cui passa lo sdoganamento delle destre neofasciste italiane.
Da ricordare ci sono, ad esempio, gli squadristi morti durante le aggressioni, ci sono i “grandi” gerarchi di Mussolini, ci sono i repubblichini morti nella strenua difesa del regime fascista.
Ci sono anche i Martiri delle Foibe e i militanti di estrema destra uccisi durante gli anni di piombo, ricordati in sede istituzionale con cerimonie di Stato che tuttavia lasciano insoddisfatto il desiderio di propaganda fascista, e perciò snobbate. Se non ci sono la croce celtica e il saluto romano non vale.
E’ un vittimismo “chiagni e fotti”, quello dell’estrema destra italiana, che cerca occasioni utili a sostenere l’assurda tesi dell’antifascismo come male assoluto, spostando l’inizio della storia di volta in volta dove più fa comodo, rappresentando il fascismo come vittima anziché carnefice.
Tuttavia, se durante gli anni di piombo le violenze neofasciste erano valutate nell’ottica della teoria degli opposti estremismi, difficilmente si potrà trovare la stessa giustificazione alla violenza messa in atto negli ultimi venticinque anni.
Sin dalla sua nascita il fascismo ha giustificato la violenza quale mezzo per proteggere la nazione dalla minaccia comunista. Tuttavia dalla caduta del Muro di Berlino e della conseguente fine del blocco comunista, nel 1989, o dallo scioglimento del Partito Comunista Italiano in Italia, nel 1991, il neofascismo ha continuato a mietere vittime.
Auro Bruni
La prima vittima dei neofascisti dopo la caduta del muro di Berlino è il diciannovenne Auro Bruni, un attivista del centro sociale Corto Circuito, a Roma.
La notte del 19 maggio 1991 alcuni militanti di estrema destra fanno irruzione nel centro sociale dentro al quale Auro sta dormendo, e, dopo averlo aggredito e stordito, danno fuoco all’edificio.
La giustizia italiana non ha mai trovato i colpevoli dell’omicidio, nonostante la rivendicazione avvenuta il giorno successivo da parte dei “disoccupati italiani nazionalisti”, sigla riconducibile ad ambienti di estrema destra. Né questa rivendicazione, né gli attentati subiti nei mesi precedenti da altri centri sociali rappresentarono indizi validi per la magistratura.
Durante gli anni Novanta, grazie ad un mutato assetto dell’arco parlamentare e talvolta alle curve calcistiche, il neofascismo trova spazi e si espande, i casi di aggressioni e accoltellamenti sono numerosi, ma fortunatamente senza esiti letali fino al 2003.
Davide Cesare Dax
Il 17 marzo 2003 a perdere la vita è Davide Cesare, conosciuto come Dax. La notte del 16 marzo, Davide si trova in un bar di Milano insieme ad altri tre militanti del centro sociale O.R.So.
I quattro escono per fumare una sigaretta e vengono affrontati da tre noti neofascisti residenti nel quartiere, padre e due figli.
I tre sono armati di coltello e feriscono con dieci coltellate uno dei ragazzi, che riuscirà a salvarsi, e con dodici Dax che morirà durante il trasporto verso l’ospedale San Paolo.
Come spesso succede in questi casi, i giornali parleranno di rissa tra opposte fazioni politiche. Tuttavia, dalle perizie tecniche effettuate sul corpo del ragazzo, si rileverà che nessuna ferita “da difesa”, né graffi né tagli né lividi, è stata trovata sulle braccia e sulle mani, a prova del fatto che Davide Cesare non ebbe la possibilità di difendersi dai suoi aggressori.
Renato Biagetti
A Roma, la notte del 26 agosto 2006, viene assassinato il ventiseienne Renato Biagetti, ingegnere, tecnico del suono e grande appassionato di musica reggae.
È proprio da una festa reggae che sta tornando Renato all’alba del 27 agosto insieme alla sua compagna e ad un amico. Due ragazzi di 19 e 17 anni a bordo di una automobile, provocano i tre lanciando grida dal finestrino: “È finita la festa? Sì? Allora ritornatevene a Roma, merde!”.
Il locale è considerato un “covo di zecche” e il maggiore dei due ragazzi, ha una croce celtica tatuata sul braccio: è facile capire i motivi all’origine della provocazione.
I due ragazzi scendono e ingaggiano una rissa con i tre, poi il più grande estrae un coltello e colpisce Renato con otto coltellate, di cui una al cuore, prima di fuggire insieme all’amico a bordo dell’automobile.
Renato viene portato in ospedale, dove muore poco dopo.
Anche in questo caso i giornali cercano di far passare la notizia per una “rissa tra balordi” e viene rifiutata dai giudici la matrice politica dell’agguato, nonostante i due aggressori vengano riconosciuti da molti come estremisti di destra.
Anche l’istanza presentata dall’ANPI, che chiede di essere considerata parte civile, viene rigettata.
Nicola Tommasoli
La vigilia del 1° maggio 2008, a Verona, un giovane grafico di 29 anni di nome Nicola Tommasoli, sta passeggiando insieme due amici quando cinque giovani di estrema destra si avvicinano e chiedono una sigaretta. Davanti al rifiuto dei tre, scatta l’aggressione.
I due amici se la cavano con alcune lesioni ma Nicola cade a terra e viene preso a calci dai cinque neofascisti, che dopo il pestaggio si dileguano.
Gli amici trasportano subito Nicola in ospedale, dove rimane in coma fino al 5 maggio, quando i medici ne dichiarano la morte cerebrale.
Il primo giovane fermato per l’omicidio è un diciannovenne già responsabile di aggressioni a sfondo razzista e violenze negli stadi. Si muove in ambienti vicini a Forza Nuova, ma l’associazione di estrema destra, come in tutti i casi di violenza da parte dei propri simpatizzanti, nega qualsiasi coinvolgimento nella vicenda e minaccia di querelare chiunque la associ all’episodio.
Uno dopo l’altro vengono arrestati anche gli altri quattro aggressori; tutti giovani tra i diciannove e i vent’anni.
Due di loro erano stati coinvolti in incidenti avvenuti durante le partite dell’Hellas Verona, la squadra di calcio della città nota per avere gran parte della tifoseria affine a movimenti di estrema destra, mentre gli altri due erano stati già indagati per violazione della legge Mancino e istigazione all’odio razziale.
Appesa al muro della cella degli imputati verrà trovata una immagine di Hitler giustificata come “gesto goliardico”.
Samb Modou e Diop Mor
Il 13 dicembre 2011 si verifica quella che sarà ricordata come la strage di Firenze.
In piazza Dalmazia, Gianluca Casseri ha un diverbio con un gruppetto di cittadini senegalesi che sta vendendo la propria mercanzia tra le bancarelle del mercato. Si allontana dalla piazza e, poco dopo, ritorna a bordo della propria auto. La parcheggia in doppia fila, si dirige verso il gruppo di venditori senegalesi e fa fuoco con una Smith & Wesson calibro 357 magnum.
Uccide Samb Modou e Diop Mor, ferisce Moustapha Dieng colpendolo alla schiena e alla gola e poi si allontana. Un giornalaio gli sbarra la strada ma Casseri lo minaccia con la pistola e fugge a bordo della propria auto, facendo perdere le proprie tracce.
Alle tre del pomeriggio, Casseri ricompare al mercato di San Lorenzo e apre il fuoco ferendo gravemente Sougou Mor e Mbeghe Cheike.
Quando la polizia riesce finalmente ad individuare l’assassino nel parcheggio sotterraneo del Mercato Centrale di San Lorenzo, questo si uccide sparandosi all’interno della sua auto.
La stampa pubblica la notizia che l’uomo era stato identificato nel corso di due manifestazioni di CasaPound ma i “fascisti del terzo millennio” prendono le distanze affermando “Non siamo soliti chiedere la patente di sanità mentale”. Insomma, l’ideologia fascista ed il razzismo non avrebbero alcun ruolo nella strage, che sarebbe solo frutto dell’atto isolato di un folle. Allo stesso tempo, i camerati di Casa Pound aggiungono “ma se è avvenuta [questa strage] vogliamo ricordare che è anche perché questo Stato non è in grado di fornire alcuna protezione e assistenza ai suoi figli più deboli”.
Ciro Esposito
A Roma il 3 maggio 2014 si gioca la finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli. Un corteo di tifosi del Napoli sta percorrendo viale Tor di Quinto verso lo stadio Olimpico, quando vengono esplosi sette colpi di pistola che colpiscono tre ultras napoletani. Ciro Esposito, trentuenne napoletano, rimane a terra in condizioni gravissime e, viene ricoverato all’ospedale Gemelli di Roma, dove muore dopo 50 giorni di agonia.
Durante il ricovero, Ciro riconoscerà il suo presunto assassino, presentato dai media come un quarantottenne “ex ultras romanista”.
Non ci vorrà molto perché inizino a diffondersi il poco lusinghiero curriculum di militante di estrema destra e le immagini tratte dal profilo facebook, che ritraggono l’imputato nel suo bunker, arredato con croci celtiche e immagini di camerati.
Vicino a noi
Non si creda che questi eventi accadano solo nelle grandi città.
Anche se la stampa locale riserva a queste notizie piccoli trafiletti, tende a minimizzare e talvolta a distorcere queste notizie, nella nostra regione si verificano con frequenza gravi aggressioni di stampo neofascista.
Lo stesso leader e fondatore di Casapound Gianluca Iannone è stato condannato in primo grado a 4 anni di reclusione per lesioni e favoreggiamento in seguito ad una aggressione avvenuta a Predappio nell’anniversario della fucilazione di Mussolini ai danni di un uomo che aveva cercato di sedare una discussione nata tra la “guardia d’onore”, una vigilanza autoorganizzata alla tmoba di Mussolini, ed un visitatore vestito in modo non adeguato. L’uomo aggredito a calci e pugni da un gruppo di individui in giubbotto verde e anfibi, tra i quali Iannone, si rivelò poi essere un carabiniere in borghese.
Nel 2007, a Rimini, 11 militanti di Forza Nuova venivano arrestati con l’accusa di concorso in tentato incendio e tentato sequestro di persona, aggravati dal numero delle persone che vi hanno preso parte, dall’aver istigato a commettere i reati anche minori di anni 18, nonché dall’aver agito con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico.
Le indagini erano iniziate a seguito del lancio di due Molotov e di due auto incendiate nei pressi del laboratorio occupato Paz, uno spazio occupato a scopo sociale nel riminese.
Durante le perquisizioni ai neofascisti furono sequestrate tra le altre cose: tre pistole a gas, tirapugni, manganelli, coltelli a serramanico e pugnali, passamontagna, corda e documentazione attestante l’appartenenza e/o la vicinanza degli indagati a Forza Nuova, il che ovviamente escluse ogni possibilità della solita presa di distanza da parte del movimento.
Uno dei fermati fu anche arrestato in flagranza di reato per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, essendo stato trovato in possesso di 3,5 grammi di cocaina, nonché di materiale per il taglio, la pesatura ed il confezionamento della droga.
Sempre a Rimini, nell’estate del 2014 un militante di estrema destra definito dai giornali come “ex militante di Forza Nuova” accoltellò due ragazzi in quella che in un primo momento fu presentata dai giornali come una rissa in discoteca, e poi come rissa tra militanti di estrema destra ed estrema sinistra. I fatti certi sono che le perquisizioni di auto e appartamenti degli “ex di Forza Nuova” rivelarono un arsenale fatto di coltelli, sbarre di ferro, scimitarre e tirapugni, e i due venticinquenni aggrediti dal militante neofascista riportarono diverse ferite di arma da taglio all’addome, e il camerata fu accusato di tentato omicidio.
Tornando a Forlì, nella notte del 19 aprile 2013 l’auto della cantante che aveva partecipato ad una iniziativa antifascista fu sfregiata da svastiche incise sulla portiera e sul cofano. Proprio in quei giorni, la donna stava collaborando con l’associazione Alfred Lewin ad eventi organizzati in occasione della festa della Liberazione.
Considerazioni conclusive
Che il neofascismo rappresenti una piaga sociale, è dimostrato dal fatto che può colpire chiunque, e non solo militanti di sinistra. Nei casi in cui il fattore politico non è esplicito, il neofascismo si presenta come l’innesco di soggetti già di per sé propensi alla violenza.
Come è facile rilevare consultando l’elenco delle vittime, è sufficiente trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato per subire le conseguenze degli atti di individui montati da un’ideologia – quella fascista – che porta in se il seme della violenza.
Non solo: le prime vittime del neofascismo sono proprio i giovani attratti da associazioni e partiti, che plagiano ragazzi deboli con promesse d’impunità e protezione, ma che al naturale verificarsi delle conseguenze dell’odio seminato nelle menti dei propri militanti, si estraniano, minacciando querele a destra e a manca e rivendicando una credibilità politica.
Una credibilità politica che non esiste, in quanto non c’è nulla di politico nel risolvere il conflitto sociale eliminando i diritti, ossia il programma politico fascista di sempre.
D’altra parte, l’agibilità politica è assicurata alle organizzazioni di estrema destra dall’appoggio fornito dai partiti che si dichiarano di centro/centro-destra, i quali rivendicano nelle sedi istituzionali la libertà di manifestare anche per quelle organizzazioni che si rendono abitualmente responsabili di apologia di fascismo.
Sul fronte dell’agibilità politica, la più importante operazione messa in atto in tempi recenti appartiene ai fascisti del terzo millennio di Casapound che, trovando un’intesa con il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, inaugurano la nuova sigla “Sovranità”.
“Prima gli italiani” è lo slogan del nuovo movimento nato, per cercare di far chiudere un occhio agli italiani del Sud e far ottenere qualche voto alla Lega Nord, in cambio di piena agibilità politica e riconoscimento ai militanti di Casapound nelle iniziative del Carroccio.
Non solo: alle ultime elezioni amministrative Casapound è riuscita a piazzare un candidato all’interno del consiglio comunale di Bolzano, dove il partito ha ottenuto ben il 6,86% di voti.
I cugini greci di Casapound, i neofascisti di Alba Dorata, grazie ad una ricetta fatta di nazionalismo, populismo, e cavalcando la crisi, sono riusciti ad arrivare ad ottenere risultati elettorali impensabili fino a qualche anno fa.
Durante l’ascesa del partito, numerose sono state le violenze registrate, spesso rimaste impunite grazie ad una forte infiltrazione all’interno delle forze di polizia. Solo dopo l’uccisione da parte di un militante di Alba Dorata il giovane rapper antifascista Pavlos Fyssas, noto come Killah P, sono iniziate le indagini che hanno portato all’arresto dei vertici del partito e di commissari di polizia, con l’accusa di aver costituito l’associazione criminale mandante dell’omicidio.
Secondo fonti attendibili, per le autorità greche erano fondate le prove di un possibile colpo di Stato ad opera di Alba Dorata, accusata di aver costituito gruppi armati paramilitari suffragato dall’esistenza di appositi campi di addestramento per prendere il potere nel paese con la forza.
Seppur lontana dalla situazione greca, nell’Italia della crisi, con una classe politica che non brilla certo per levatura morale ed una giustizia che funziona a intermittenza, è necessario rilevare che l’antifascismo non costituisce più un valore comune e condiviso per le istituzioni, e che non è possibile fare pieno affidamento su queste per contenere la piaga sociale del neofascismo che, forte dell’indifferenza, continua a mietere vittime.