Di seguito il testo del discorso tenuto della Presidente dell’ANPI di Meldola Paola Borghesi, intervenuta in rappresentanza del Comitato Provinciale ANPI Forlì Cesena, presso Rocca delle Caminate in data 18 marzo 2017 in occasione del 73° anniversario della morte di Antonio Carini (Orsi) Partigiano della 8° Brigata Garibaldi e Medaglia d’Argento al Valore Militare
Cari partigiani, care compagne, cari compagni, cittadine, cittadini, e autorità tutte, civili e militari, come Presidente dell’ANPI di Meldola vi ringrazio per la presenza e vi porto il saluto dell’ANPI Provinciale di Forlì Cesena.
Avrebbe dovuto essere qui Tamer Favali che per motivi di salute è stato costretto, seppur a malincuore, a rinunciare a tutti gli incarichi ricoperti in ANPI.
Averlo come Presidente, anche se per pochi mesi, è stato un onore e ricordiamo ancora il discorso profondo e toccante con il quale due anni fa Tamer interveniva a commemorare la figura di Antonio Carini, allora come rappresentante dello SPI-CGIL di Piacenza.
Anche quest’anno, come ogni anno, i Comuni di Meldola e di Monticelli d’Ongina, le ANPI di Forlì-Cesena e di Piacenza di Meldola e di Monticelli d’Ongina,lo SPI CGIL di Forlì e di Piacenza, con il patrocinio dell’Unione dei Comuni della Romagna forlivese e della provincia di Forlì Cesena, che ringrazio, celebrano solennemente l’anniversario della morte di Antonio Carini.
In un momento in cui vengono messi in discussione i valori della Resistenza, è importante che si ricordino le persone che versarono il loro sangue per la democrazia di questo Paese. Nel caso di Antonio Carini (Orsi) fu una morte atroce; vogliamo raccontare ancora oggi questa vicenda per non dimenticare che cosa è stato il fascismo, quel fascismo che Gianfranco Fini, noto esponente della destra, in visita a Gerusalemme, definì “il male assoluto”.
Quest’anno ricorre il settantatreesimo anniversario della morte di Antonio Carini, nome di battaglia Orsi, partigiano, membro del Comando generale delle Brigate Garibaldi, barbaramente ucciso dai fascisti, dopo alcuni giorni di carcere alla Rocca delle Caminate, durante i quali fu torturato al fine di estorcergli i nomi dei compagni di lotta. Sopportò le torture senza fare rivelazioni, poi, ancora vivo fu trascinato, legato per i piedi ad un auto, e trasportato a Meldola , dove fu accoltellato più volte e gettato dal ponte dei Veneziani.
(mio padre raccontava di aver visto per la strada che porta dalla Rocca delle Caminate a Meldola tracce del suo sangue)
Antonio Carini era nato a Monticelli d’Ongina (Piacenza) nel 1902, dove da giovane faceva il barcaiolo sul fiume Po. Nel 1924 emigra in Argentina per sfuggire alle persecuzioni da parte del regime fascista e ivi partecipa a scioperi e manifestazioni e viene inserito nelle liste di persone da sorvegliare da parte della polizia.
Dal 1936 al 1939 combatte in Spagna come volontario nelle brigate internazionali come sergente nel Battaglione Garibaldi e fra il giugno del 1937 e l’agosto 1938 viene ferito tre volte.
Nel gennaio del 39 diviene commissario politico addetto all’intendenza dell’intera Brigata Garibaldi, in stretto contatto con Luigi Longo.
Dopo un mese va in Francia dove viene internato in tre diversi campi di concentramento (Saint Cyprien, Gurs e infine Vernet).
Nel 1941 chiede di essere rimpatriato, viene consegnato dalle autorità francesi alla polizia italiana, portato a Piacenza viene processato e condannato a 5 anni di confino a Ventotene , dove si trova con Terracini, Scoccimarro, Secchia, Longo, Di Vittorio, Alberganti e altri.
Dopo la caduta del regime fascista il 25 luglio 1943, viene liberato e tornato a Piacenza si dedica alla riorganizzazione del partito comunista.
Successivamente entra nella resistenza con l’incarico di organizzare le formazioni partigiane e viene inviato dal CUMER in Romagna per organizzare e coordinare le attività delle province di Forlì e Ravenna
In particolare si reca nell’Appennino romagnolo a ispezionare la neonata Brigata Garibaldi ed è proprio durante una di queste ispezioni che viene catturato dai militi della RSI mentre nei pressi di Ricò di Meldola stava attraversando il fiume Bidente.
“Dovete resistere, non dovete parlare”, così diceva Carini ai compagni di cella per incoraggiarli a non cedere alle terribili torture, durante i giorni della sua prigionia.
Racconta Secondo Tartagni un compagno di prigionia: “in molti gli saltarono addosso e col calcio del mitra lo massacrarono per tutto il corpo… Arroventarono un pugnale baionetta nella stufa a legna… poi legato Carini su una sedia gli appoggiarono il pugnale rovente sotto la pianta dei piedi… Lo bruciarono, fino a che l’odore di carne bruciata non procurò nausea al comandante, il tenente Magnati… Carini gli gridò in faccia che egli aveva sempre combattuto contro la tirannide fascista, mentre essi erano i carnefici del popolo italiano… un colpo della cassa di un mitra gli spaccò la bocca , gettandogli giù i denti incisivi.”
Racconta ancora Tartagni che, in occasione del suo interrogatorio, i fascisti fecero entrare “il cadavere vivente” e si trascinarono dietro Orsi che “aveva tutta la bocca spaccata, un occhio fuori dall’orbita ed i piedi nudi bruciacchiati…”
Dino Valbonesi, partigiano di San Martino in Strada, incarcerato alla Rocca negli stessi giorni, ricorda di Orsi l’incredibile coraggio: “per noi c’erano state botte sulle gambe con stecche da biliardo, ma lui era stato maciullato: la carne delle gambe emanava puzza di bruciato. Eppure in quel breve attimo in cui potemmo parlarci mi raccomandò di non lasciarmi scappare nulla con i fascisti, di essere forte…”
Dopo sei giorni di torture Carini venne legato dietro ad un camioncino e trascinato lungo la strada che conduce a Meldola, fino al Ponte dei Veneziani; qui fu ripetutamente pugnalato e gettato nel greto sottostante. Non contento, uno dei militi scese nel greto e gli sfracellò la testa con un masso. Era il 13 marzo 1944.
Ad Antonio Carini è stata conferita la medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione:
“ Forte tempra di patriota e di sagace propagandista, metteva continuamente a repentaglio la propria vita nello svolgimento di importanti e delicate missioni di collegamento. Catturato nel corso di una di queste ed imprigionato, affrontava con animo stoico e sereno le più atroci torture, senza che mai nulla di benché minimamente compromettente potesse uscire dalle sue labbra.
I suoi aguzzini, esasperati per il suo spavaldo contegno, lo finivano a pugnalate. BELLISSIMA FIGURA DI PATRIOTA E DI VOLONTARIO DELLA LIBERTA’”
Sulle mura di questa Rocca una lapide reca la scritta:
“Dietro le mura di questa Rocca, durante i venti mesi di terrore nazifascista, spiriti nobili resistettero con coraggio a torturatori e carnefici, offrendo la loro vita per un’Italia libera”.
Vogliamo ricordare , allora, altri Partigiani che furono incarcerati e torturati in questo luogo:
Oltre ai già citati
DINO VALBONESI E SECONDO TARTAGNI
Ricordiamo anche :
CASTELLUCCI CELSO
COLLINELLI IRMA
FARNETI ROBERTO
GAROIA ALTEO
MAGALOTTI GIUSEPPE
ORIOLI OLIVIERO
POGGI AURO
RANIERI DOMENICO
SASSI MARIO
TARTAGNI LARA
Vogliamo ricordare anche un’altra vittima della ferocia della squadra comandata dal tenente Giacinto Magnati nella sede di Meldola, il Partigiano LAZZARO FONTANONI di Urbino che operava nella zona di Pesaro come vicecomandante della formazione Gasperini.
Catturato e portato a Meldola, qui morì dopo atroci torture senza rivelare i nomi dei compagni di lotta.
La conclusione di questo ricordo, in questo giorno, proprio qui, in questo luogo, è una sola:
l’unico faro che ha illuminato davvero questa Rocca è il sacrificio di Carini e l’unico faro che come ANPI vogliamo tenere acceso è quello della memoria e della conoscenza, che devono vivere in un progetto che metta in evidenza i valori che stanno alla base del sacrificio di Carini.