di Vladimiro Flamigni
Ormai da oltre un mese, sulla stampa locale si discute della riaccensione del faro della Rocca delle Caminate.
Ad innescare la polemica l’interrogazione di un consigliere provinciale di Meldola alla quale avrebbe risposto positivamente, nella seduta successiva, il presidente della provincia Davide Drei. Risposta, sembra, condivisa dagli altri consiglieri provinciali.
E’ passato diverso tempo ma ancora non possediamo una precisa ricostruzione di quanto sia avvenuto documentato da un verbale o un atto ufficiale.
Va subito detto che questo consiglio provinciale non eletto a suffragio universale, ha modificato e ribaltato gli orientamenti dei consigli provinciali, eletti a suffragio universale, che analoga proposta avevano respinto.
Ma qual’è la motivazione alla base della richiesta di accensione di un faro rimasto spento per 70 anni? E dopo che in precedenza il Consiglio proviciale aveva respinto la richiesta?
La motivazione è unicamente turistica, il faro attirerebbe turisti, quindi risorse economiche e questo argomento serve a scalzare qualsiasi obiezione, che male c’è ad usare i cimeli o le architetture del regime per attirare turisti? Qualcuno ne trae beneficio, perchè allora impedirlo.
Quel faro sulla Rocca delle Caminate non c’era ne c’era motivo perchè ci fosse. Lo volle Mussolini nel 1927 per celebrare se stesso e era acceso solo per segnalare la presenza del duce in Romagna. Quella luce che si estendeva per 60 km stava a significare che la Romagna era stata domata, pacificata dal fascismo. La Romagna democratica, dei partiti di massa, delle leghe, delle cooperative era stata distrutta e il fascismo aveva vinto, la nuova Romagna si identificava nel suo duce. Questo comunicava la luce del faro e lo sapevano bene gli antifascisti che ogni volta che il duce era in Romagna erano costretti in casa o in galera.
E’ inconsistente qualsiasi argomento che sostenga che oggi, dopo 70 anni, la sua riaccensione, se fatta a determinate condizioni, dimostrerebbe che alla fine la Romagna democratica, antifascista ha avuto il sopravvento, ha vinto. Secondo i sostenitori dell’accensione del faro quei simboli non fanno più paura e bisogna innovarsi.
Le categorie del coraggio e della paura qui valgono poco. I nostri padri, i nostri nonni il coraggio lo avevano e lo dimostrarono, avevano ben chiaro di avere vinto, e quel faro lo vollero spento.
Un conto è il recupero delle strutture architettoniche finalizzate ad un uso culturale e sociale, un conto è il ripristino della funzione di un oggetto che aveva e avrebbe un significato terribilmente simbolico: la luce del faro vorrebbe ricordare che il duce è ritornato a casa?!
Quando ci fu il restauro della ex Gil, si recuperò la scritta del giuramento fascista nello stato in cui si trovava, senza procedere a ricostruzioni che avrebbero falsato la storia e la correttezza del restauro. Si decise di porre alla base della torre, l’informazione che la scritta è in parte deteriorata, perchè così vollero i giovani antifascisti che il 25 luglio 1943 la scarpellarono.
La riaccensione del faro rimette in discussione questo principio e annulla settanta anni di storia, quel faro non è rimasto spento perchè rotto ma perchè così vollero coloro che il fascismo lo avevano abbattuto.
Quello è il faro del duce, la sua importanza deriva da questo, e una volta riattivato sarà il faro del duce e attirerà coloro che per curiosità o condivisione di idee vogliono vedere il faro del duce.
Vorrei ricordare che oltre al faro di luoghi mussoliniani Forlì ne possiede molti altri l’appartamento in prefettura, il rifugio antiaereo nei sotterranei della prefettura e poi la stanza alla stazione. Lo studio del fratello a Paderno di Mercato Saraceno. Vi sono richieste perchè questi luoghi siano visitabili da parte del pubblico.
Vi è ampia materia per fare un percorso mussoliniano turisticamente attraente. E’ a questo che si vuole giungere? E’ questo il futuro che si prepara per i nostri nipoti? Fare le guide mussoliniane o i camerieri in camicia nera?
Dopo avere costruito questa “italietta” mussoliniana, tra appartamenti, stanze, fari, negozi di gaget hitleriani e mussoliniani, fra la casa natale e la tomba dovrebbe sorgere un Centro di documentazione di alto profilo culturale e di coinvolgimento europeo?
C’è una vecchia legge, ma sempre valida, che afferma che la moneta cattiva scaccia quella buona.
C’è da dubitare che qualche università o centro culturale europeo sia disponibile a collaborare con un’istituzione culturale inserita in un contesto di questo tipo.
Ma qual’è il messaggio che la riaccensione del faro trasmetterebbe ai giovani?
E’ possibile usare i simboli del fascismo perchè questo non fu un vero totalitarismo, fu un totalitarismo all’italiana, che mandava gli oppositori in villegiatura al confino, un fascismo che ha fatto anche molte cose buone, sbagliò ad allearsi col nazismo, quello si criminale. E se in Germania, o in Austria nei luoghi simbolo del nazismo vi è il racconto di crimini e malefatte ciò non è necessario in Italia perchè il fascismo fu tollerante, in quegli anni ci fu una vivace stagione artistica, e si sa gli italiani sono brava gente.
Così facendo non faremmo altro che ribadire tutti i luoghi comuni che un’inizativa culturalmente seria dovrebbe spazzare via.
Sulla tolleranza del dissenso da parte del fascismo vorrei ricordare che fra il 1928 e il 1941, nella sola provincia di Forlì ci furono quattro antifascisti uccisi dalle torture fasciste: Gastone Sozzi, Scevola Riciputi, Derno Varo e Pio Amaduzzi.
Ma perchè da alcuni anni si discute tanto dell’importanza del turismo e della cultura per Forlì?
A partire dagli anni settanta Forlì ha conosciuto un processo di deindustrializzazione. Produzioni importanti e migliaia di posti di lavoro sono stati persi e molti non rimpiazzati. Forlì fatica a ricollocarsi nel contesto dell’economia globalizzata e il turismo culturale che è una importante risorsa per l’Italia diviene sempre più importante anche per la nostra provincia. Investimenti importanti sono stati fatti dalla Fondazione cassa dei risparmi, dagli enti locali per proporre Forlì città della cultura. Un proposito da condividere e sostenere ma con proposte che non contraddicano la sua tradizione democratica, antifascista, associativa e partecipativa. Che non tolgano a questa terra la sua identità, i suoi valori, la sua coesione e la sua forza.
La scelta è se vogliamo soddisfare un turismo il più ampio possibile purchè porti soldi, o vogliamo qualificare il territorio, con proposte capaci di attrarre un turismo culturalmente qualificato, che frequenta questi luoghi per l’elevata qualità dei suoi servizi, dei suoi prodotti gastronimici e culturali, un turismo che non è affatto di nicchia ma che corrisponde alla levatura degli italiani e dei giovani di oggi abituati a frequentare e a confrontare le proposte con quanto avviene anche negli altri paesi europei.