Fumetto

Un fumetto per il partigiano Augusto Capovin

Come Anpi cesenate abbiamo voluto fare un fumetto dedicato alle poesie di Augusto Capovin, partigiano dell’ottava Brigata d’assalto “Garibaldi”.
Capovin era un uomo timido, di grande spessore morale e culturale, non incline alla retorica; scriveva poesie che parlavano al tuo cuore e al tuo cervello.
Il titolo del fumetto è quello che Augusto Capovin diede alla prima raccolta di poesie (edito nel 1977) che racconta la sua esperienza di vita partigiana; uscì poi nel 1989 un’edizione riveduta “Da un altro universo”.
Pochi mesi vissuti in montagna, fino al grande rastrellamento che colpì l’ottava brigata romagnola nell’aprile del 1944. Il “cerchio dove cessava il respiro” era il feroce rastrellamento effettuato dai tedeschi e fascisti. Quel periodo, pur brevissimo, lo segnò per tutta la vita.
Abbiamo voluto raccontare questa storia, che è quella di Augusto, ma anche quella dei suoi amici partigiani (tanti sui diciott’anni come lui), alcuni ritornati altri no.
Negli scontri del rastrellamento morirono 122 partigiani, 84 sono furono fatti prigionieri e poi uccisi e 48 deportati in Germania.
Abbiamo voluto trasportare queste poesie in un fumetto per ragazze e ragazzi adolescenti per raccontare i sacrifici e le speranze di giovani un poco più grandi di loro, giovani che volevano costruire un mondo migliore. Augusto.
Capovino era nato a Cesena il 5 giugno del 1925. Lavorava come operaio all’Arrigoni di Cesena dove aveva conosciuto Domeniconi Terzo (*) che “mi stava dietro” e “mi aveva instradato”.
Chiamato un anno prima a servire nell’esercito di Mussolini, lui non si presenta e si nasconde, poi grazie all’organizzazione Todt può mettersi in regola; chi lavora per la Todt è esentato dal servizio militare. In contatto con Terzo Domeniconi decide di andare in montagna coi ribelli.
Nel febbraio del 1944 è in brigata; la futura ottava Brigata Garibaldi è nata da pochi mesi, non ha ancora un nome, ma ad Augusto Capovin gli è cambiata la vita: la vicinanza dei compagni, lo stare insieme, il mangiare poco e quando è possibile, lo stare continuamente all’erta… il tutto pervaso da un grande entusiasmo. Poi il rastrellamento.
Augusto sfuggirà per caso all’eccidio dell’infermeria delle Capanne (*). All’entusiasmo iniziale subentra il pensiero della morte, che si impone per la sua presenza continua e acceca ogni orizzonte.
Capovin racconta: «Quando siam saliti lassù alla cima, come per incanto le nubi sono sparite e lì sulla radura c’erano i tedeschi appostati e c’hanno sfalciato. E noi, il mio amico e io con la mitraglia ci siamo ruzzolati giù per la china. La mitraglia che ruzzolava giù assieme a noi e tutti gli altri a ritirarsi perché avevano la posizione loro. Quello è stato l’ultimo combattimento. Dopo, giù per la china, fra i cespugli, lì, si radunano i capi, i commissari politici: Gianni Amaducci, Falco [Alberto Bardi], uno di Faenza che si chiamava Bruno e qualch’un altro di quelli che eravamo rimasti. Una cinquantina… un centinaio. Falco disse “Ragazzi, qui se vogliamo riportare a casa la pelle è meglio che ci dividiamo perché qui oramai non c’è più niente da fare. Siamo ridotti male, non abbiamo più armi, mangiare… non abbiamo mangiato, siamo malandati… Quindi dobbiamo dividerci. E l’ora passate adesso davanti a noi uno alla volta che vi diamo 50 lire”. E allora in fila passammo uno alla volta ci diedero queste 50 lire “Buona fortuna”. “Buona fortuna”… Ci diedero la mano e allora ognuno andò per conto suo. E io mi avvio. Non sapevo neanche più dove andare, ero malato, malandato, ero quasi imbambolato, ero come un automa. Era pomeriggio pioveva e sento una voce da di dietro “Capovin! Andiamo giù io e te?” Era uno che era stato liberato dalle carceri assieme a Casadei [Ezio] e si chiamava Pasolini Primo che noi lo chiamavamo San Marino. […] Di fronte al ponte vecchio. Era già il coprifuoco, eravamo verso le 10-10 e mezzo. Dovevo passare di lì per entrare in città. E allora… Io mi ricordo ancora… Avevo le mani in tasca così. Avevo un impermeabile tutto sgualcito. Ero messo male. Ero un Cristo. E salivo con le mani in tasca. Quando sono proprio in cima al ponte vecchio vedo una luce. Una torcia elettrica balenava nel buio e si avvicinava e dietro alla torcia c’era un tedesco. La sentinella. Io non lo sapevo che il ponte era guardato da una sentinella che faceva su e giù. Fatalmente, mentre io salivo da questa parte, la sentinella saliva dall’altra e ci siamo incontrati proprio su in cima. Allora mi ha puntato la torcia elettrica. Mi ha guardato dalla testa ai piedi per due o tre volte. Con questa lama di luce che sembrava mi tagliasse. Poi ha farfugliato qualcosa e mi ha lasciato andare. Poi dopo sono sceso e piano piano… dov’è la Ghina, lì, il Tavernelle… allora c’era il selciato e per non fare rumore mi sono tolto gli scarponi e me li sono messi in spalle e ho fatto il vicolo Pasolini. Ho bussato nei vetri della finestra a pianterreno. “Chi è?” Sentivo una voce “Chi è?” “A so mè!” (…) “L’è Gusto! L’è Gusto!”».

(*) Domeniconi Terzo, nato a Cesena il 26 novembre 1923, secondo di sei figli, celibe. Partigiano dell’8ª brigata (già operante nel Gap cesenate) con ciclo operativo dall’8 marzo al 9 aprile 1944. Ferito, fu prelevato dai tedeschi dall’infermeria delle Capanne assieme ad altri 6 partigiani ed a un civile. Consegnato alle SS italiane (Milizia repubblicana di Cesena), dopo un calvario di oltre 30 chilometri, venne fucilato assieme agli altri, dopo inaudite torture, a Ponte Carattoni (oggi Ponte degli 8 martiri) presso Casteldelci il 7 aprile 1944.

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Il fumetto, per chi fosse interessato, é disponibile al prezzo di 5 euro presso l’Anpi di Cesena: Corso Sozzi 89 – Barriera Cavour, tel. 0547-610566.