ANTONIO FABBRI


RICORDO DI ANTONIO FABBRI

bracciante tredoziese fucilato alle “Casermette” di Forlì il 25 settembre 1943

L’8 settembre, l’esercito tedesco occupò con grande rapidità le aree militarmente strategiche e le grandi città. Nei giorni successivi l’occupazione fu estesa alle piccole città e più lentamente al territorio. Vi furono località che furono occupate solo nel periodo di afflusso della wehrmacht sulle posizioni difensive della linea gotica. L’impreparazione dei militari italiani ad affrontare l’occupazione tedesca è resa evidente dalla cattura del generale Alberto Terziani, comandante della difesa territoriale di Bologna, da cui dipendevano i comandi locali dell’Emilia Romagna, fin dall’alba del 9 settembre 1943. Di fronte all’occupazione tedesca l’unica preoccupazione del generale era stata quella di emanare ordini che imponevano alla popolazione di tapparsi in casa e di non disturbare i soldati tedeschi. A Forlì il comandante del presidio militare Alipio Falcocchio respinse una delegazione di antifascisti, che proponeva l’azione congiunta dell’esercito e dei civili, minacciando di farli arrestare. Gli operai erano in sciopero e si aggiravano per la città, esclusi da piazza Saffi presidiata dall’esercito, in attesa di direttive che nessuno era in grado di dare. Fu così che la mattina del 10 settembre un piccolo drappello di paracadutisti tedeschi atterrò all’aeroporto ottenendo la resa del comandante. Verso sera giunsero piccoli reparti delle SS e della wehrmacht. Nelle giornate dell’11 e del 12 settembre mentre i piccoli reparti tedeschi occupavano gli edifici pubblici e i punti strategici della città, migliaia di soldati abbandonavano le caserme, che furono svuotate dalla popolazione e dagli antifascisti che asportarono le vettovaglie e le armi. Anche i magazzini del grano furono assaltati. Forse tra i cittadini che invadevano le caserme vi era anche Antonio Fabbri. Il pomeriggio di sabato 11 settembre, presso la prefettura, il comandante tedesco della piazza e dell’aeroporto von Herder aveva comunicato al prefetto e alle altre autorità forlivesi le direttive a cui dovevano sottostare per l’ordine pubblico e la riorganizzazione della vita cittadina sotto occupazione tedesca. Le disposizioni furono comunicate alla popolazione con numerosi manifesti affissi a cura della prefettura. Nei giorni successivi comparvero numerosi bandi, che intimavano la riconsegna delle armi sottratte alle caserme pena la punizione secondo le leggi di guerra tedesche.

 

 

In un rapporto del 1° ottobre 1943, indirizzato al prefetto, il questore di Forlì (Genunzio) Bertini così sintetizzava la reazione dei forlivesi all’occupazione tedesca nella relazione mensile al Ministero dell’Interno (Archivio di Stato di Forlì b. 364 f. 20)

Nella circostanza non si sono verificati in questa provincia gravi fatti tranne che a Tredozio, dove, tale Fabbri Antonio di Giuseppe di anni 33 la sera del 22 settembre scorso si rendeva responsabile di ribellione e di lancio di due bombe a mano, rimaste inesplose, contro Carabinieri per cui, giudicato dal Tribunale di guerra tedesco, il mattino del 25 venne fucilato in questo capoluogo

La versione del questore si basava sul rapporto trasmessogli dai carabinieri ed è molto preciso nell’indicare la data dell’avvenimento: 22 settembre, il motivo dell’arresto “ribellione e lancio di due bombe a mano, rimaste inesplose, contro carabinieri”, l’organismo che ne decretò la condanna a morte e la data della fucilazione. La versione trova riscontro in altri documenti.

Il diarista forlivese Antonio Mambelli nel suo “Diario degli avvenimenti in Forlì e Romagna dal 1939 al 1945” fornisce una versione simile

“Il Fabbri aveva l’altro giorno un alterco con il maresciallo dei carabinieri del suo paese e che in caserma prima, quindi fuori, scagliava contro di lui e contro un milite due bombe che non esplodevano; questo a seguito di una perquisizione. Pare che il disgraziato fosse brillo.”

Il Mambelli informa dello stato di alterazione, per effetto del vino, di Antonio Fabbri al momento della “ribellione” particolare omesso dal questore.

Il 23 settembre, con una macchina di servizio pubblico, Antonio Fabbri, in paese conosciuto col soprannome di Camisen, fu tradotto a Forlì e rinchiuso nelle carceri mandamentali della Rocca. Aveva 33 anni, era nato il 23 marzo 1910, era celibe, risiedeva con i genitori, il padre Giuseppe e la madre Cattani Maria, a Tredozio, in via XX settembre 34. La sua condizione economica era quella di tanti braccianti, povera. L’accusa mossagli dai carabinieri di Tredozio era di “Inosservanza al bando delle Autorità germaniche relativo alla consegna delle armi e inosservanza alle norme relative al coprifuoco tentato omicidio violenza e resistenza, oltraggio e ubriachezza

Il venerdì 24 settembre 1943, in una stanza della prefettura, si riunì il tribunale tedesco di guerra, che lo condannò a morte. Un processo “farsa” considerato che le ordinanze tedesche prevedevano per coloro che erano trovati in possesso di armi di essere fucilati dopo un “giudizio sommario”. Era il tribunale di guerra di un esercito che fin dall’occupazione della Polonia aveva fatto delle fucilazioni e delle stragi di popolazione civile una delle modalità di occupazione.

Il 25 settembre Antonio Fabbri venne prelevato dal carcere da un drappello di guardie di Pubblica Sicurezza e fu portato alle “Casermette” di Forlì per la fucilazione da parte di un plotone di carabinieri.

Della fucilazione il diarista Antonio Mambelli ebbe testimonianza diretta da uno dei presenti

Il condannato riceveva i sacramenti da un padre servita cappellano all’ospedale civile, assistito da lui fino all’estremo. Condotto sul luogo di morte il Fabbri conversava con i carabinieri, cui chiedeva alcune sigarette, poi addossato al muro di destra in fondo al cortile, gli stessi carabinieri eseguivano la sentenza con i moschetti tremolanti non meno della sciabola del tenente che dava il comando del fuoco; la scarica lasciava sul muro un’ampia rosa di colpi. Il giovane tredoziese su testimonianza di uno dei presenti che me lo ha riferito, dava prova di virile coraggio, per avere rifiutato la benda ed ogni altro legaccio e per aver dichiarato a voce abbastanza alta: “sono contento di morire di piombo italiano e non tedesco”. Il medico delle carceri dott. Aurelio Ercolani, ne constatava la morte dopo alcuni minuti, per non essere stato il Fabbri colpito al cuore, nè in altra parte vitale da procurarne il decesso immediato; dopo di che secondo il procedimento germanico, lo stesso medico annunciava al comandante della piazza, presente “Antonio Fabbri è morto”.
Assistevano alla fucilazione il cappellano, il prefetto, il federale Guarini, il comandante della Milizia, il Questore, il procuratore, il colonnello dei carabinieri…
Viva l’impressione nei cittadini: da 90 anni non era avvenuta una esecuzione capitale. Infatti le ultime fucilazioni di cittadini per reazione politica avvennero nel fossato della Rocca il 25 giugno 1852.

Antonio Fabbri era un bracciante semianalfabeta, risiedeva in un piccolo paese di montagna e nessun danno aveva procurato alle truppe tedesche. La sua azione era avvenuta in stato di ubriachezza e non aveva procurato alcuna vittima. La condanna alla fucilazione serviva comunque al comando piazza per “avvertire” la popolazione, che qualsiasi perturbazione dell’ordine pubblico sarebbe stata repressa e le leggi d’occupazione applicate con la massima intransigenza.

Intransigenza spiegabile se consideriamo che lo stesso giorno in cui Fabbri veniva tradotto a Forlì, un altro forlivese molto più conosciuto e illustre, Benito Mussolini, dalla Germania viaggiava, in aereo, verso Forlì. Lo attendevano all’aeroporto della città il rappresentante di Hitler in Italia Rudolf Rahn, e il generale Karl Wolff, capo delle SS in Italia. Quest’ultimo, per ordine di Hitler, doveva garantire la sicurezza di Mussolini. Un reparto di SS era dislocato a sorvegliare la Rocca delle Caminate dove Mussolini doveva soggiornare. Erano inoltre presenti alcuni dei ministri appena nominati e nei giorni successivi ne erano attesi altri che dovevano partecipare alla prima riunione del consiglio dei ministri del ricostituito governo fascista, convocata alla Rocca delle Caminate il 27 settembre 1943.

Il giorno successivo, 24 settembre, mentre Mussolini trascorreva la giornata in famiglia, Antonio Fabbri fu condannato a morte da un tribunale militare tedesco di guerra, che lo processò per direttissima e lo condannò a morte da eseguirsi immediatamente da parte degli italiani. Il 25 settembre, mentre i ministri affluivano per la riunione del nuovo governo fascista Antonio Fabbri fu prelevato dal carcere da un drappello di guardie di pubblica sicurezza, trasferito alle “Casermette” di Forlì e fucilato da un plotone di carabinieri per eseguire la sentenza emessa da un improvvisato tribunale tedesco.

Il maresciallo dei carabinieri di Tredozio Domenico Amodio, che aveva di fatto denunciato Antonio Fabbri ai tedeschi facendo preciso riferimento alla violazione del bando di riconsegna delle armi, fu ucciso dai partigiani il 13 ottobre 1943 per aver reagito all’azione di disarmo della caserma.

 

Vladimiro Flamigni