Martedì 8 settembre 2015 alle ore 20:30 in piazza Garibaldi a Forlimpopoli avrà luogo la prima delle iniziative di autofinanziamento dell’A.N.P.I Forlì-Cesena previste per sostenere l’attività della nostra storica Associazione; si tratta di una cena e di un concerto con cui vogliamo celebrare e ricordare la data dell’inizio della lotta contro il nazifascismo: l’8 settembre 1943.
Sarà l’occasione per rendere omaggio ai partigiani, ai militanti e ai civili che in vari modi e con grande coraggio rischiarono la vita per darci la libertà.
In questo momento così importante vorremmo riaffermare ancora una volta il nostro impegno verso i valori e gli ideali della Resistenza, ancora oggi indispensabili per la costruzione di una società equa e solidale.
Richiesta la prenotazione entro sabato 5 settembre ai numeri 347 4486988 o 339 7805588
Archivio per Agosto 2015
Cena di autofinanziamento ANPI Forlì Cesena
31 Agosto 2015Domenica 6 settembre 2015 FESTA DELL’8a BRIGATA GARIBALDI
15 Agosto 2015Domenica 6 settembre 2015 dalle ore 11:00 a STRABATENZA (Bagno di Romagna)
FESTA DELL’8a BRIGATA GARIBALDI
Saluti:
Marco Baccini, Sindaco di Bagno di Romagna
Daniele Valbonesi, Sindaco di Santa Sofia
Carlo Sarpieri, Presidente dell’A.N.P.I. Provinciale di Forlì-Cesena
Intervento di Miro Flamigni, Istituto Storico per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea della Provincia di Forlì-Cesena
Testimonianza di Giorgio Ceredi, partigiano dell’8° Brigata Garibaldi
Deposizione della corona al Monumento dell’8° Brigata Garibaldi
Ore 12:30 pranzo sociale
Musiche e canti della tradizione popolare e della Resistenza
“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità della nazione, andate là, o giovani, col pensiero, perché là è nata la nostra costituzione.” Piero Calamandrei, 26 gennaio 1955
COMMEMORAZIONE DEL 71° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DELLA FORNACE
14 Agosto 201521 AGOSTO 1944 – 21 AGOSTO 2015
COMMEMORAZIONE DEL 71° ANNIVERSARIO
DELLA STRAGE DELLA FORNACE
VENERDI’ 21 AGOSTO 2015
ORE 10,00 CIPPO DELLA FORNACE
Introduce Paola Borghesi – Presidente Sezione A.N.P.I. di Meldola
Intervengono:
Gian Luca Zattini Sindaco di Meldola
Carlo Sarpieri Presidente Comitato Provinciale A.N.P.I. Forlì-Cesena
Catturati a Pieve di Rivoschio nel corso del rastrellamento del 20 agosto 1944,
vennero portati alla Fornace di Meldola in 180. Selezionati gli abitanti di Pieve di
Rivoschio (qui aveva sede il Comando della VIII Brigata Partigiana), vennero fucilati
in 18 nel tardo pomeriggio del giorno 21 agosto per rappresaglia
71° anniversario dell’Eccidio di Cornio di San Valentino
12 Agosto 2015Comunicato inviato a Il Resto del Carlino
11 Agosto 2015Mi è stato segnalato che un’intera pagina del Resto del Carlino di domenica 2 agosto è stata dedicata all’illustrazione della visita compiuta dalla nipote di Benito Mussolini all’appartamento fatto costruire dal nonno, all’interno del palazzo della Prefettura di Forlì-Cesena. Incuriosito e non comprendendo la ragione di una tale iniziativa, e di tanta enfasi, ho voluto leggere il testo dell’articolo ed in quel momento ho compreso le ragioni dell’operazione.
L’articolo rientra tra i tanti tentativi in atto volti a descrivere Benito Mussolini un personaggio “dal volto umano”, certo “con un carattere forte ” sì ma quasi schivo, al punto da aborrire ogni forma di sfarzo e di ricchezza: insomma tutto sommato un buon uomo cui era capitato di fare il capo del fascismo ed il Presidente del Consiglio. La nipote, nell’intervista, ammette che il nonno “ha compiuto degli errori” senza peraltro specificare quali. Io proverò ad individuarne qualcuno…
Forse si riferiva al fatto di avere mandato migliaia di giovani a morire nelle guerre d’Africa per costruire l’impero, forse pensava alle leggi razziali, forse all’alleanza con Hitler ed al massacro, al fianco delle SS, di migliaia di giovani partigiani e di tanti civili inermi. Voglio ricordare, ancora una volta, che le popolazioni della Provincia di Forlì-Cesena, hanno conosciuto bene “gli errori” di Mussolini ed hanno pagato un prezzo altissimo fino a meritarsi il riconoscimento della medaglia d’oro al valor civile “per il contributo dato alla lotta di Liberazione”.
E’ dunque legittimo chiedere: a quale titolo è stato concesso alla signora di accedere all’appartamento? Forse perché è la nipote di Mussolini? All’ANPI non pare proprio essere un motivo sufficiente per avere questo privilegio. Ed era proprio opportuno che si autorizzasse la pubblicazione di una pagina del giornale più diffuso nella quale appare chiaro lo scopo di derubricare orrendi misfatti e le gravi responsabilità politiche di Mussolini in semplici “errori”? La risposta dell’ANPI è che non era opportuno!
Lo diciamo con grande rispetto ma anche con grande fermezza. Questa è una Provincia democratica ed antifascista che respinge ogni tentativo di offrire una versione edulcorata della storia, una storia che ancora vive nella memoria e nei ricordi di tante famiglie e dell’intera popolazione di questi territori. Questa storia di grandi sofferenze merita più rispetto e non può convivere con sottovalutazioni strumentali soprattutto quando esse finiscono per coinvolgere le istituzioni pubbliche il cui compito primario è la difesa e l’attuazione della Costituzione repubblica ed antifascista.
Carlo Sarpieri
Presidente ANPI Forlì-Cesena
Cronache della Resistenza – 2015/N°4
7 Agosto 2015Cronache della Resistenza – Luglio/Agosto 2015/N°4
Sommario:
- Si dice Grecia ma si pensa all’ Europa e al suo futuro – pag 2
- Sogna Ragazzo, resisti – pag 3
- Un monumento per Valdonetto – pag 5
- Neofascismo piaga sociale – pag 5
- Il Balilla che disse di “No” al fascismo – pag 8
- Guido Boschi, un giovane uomo morto “per” la guerra – pag 11
- Con la Spagna nel cuore – pag 14
- Ricordi e sottoscrizioni – pag 15
- Stiamo cercando – pag 15
Il Balilla che disse di “No” al fascismo
6 Agosto 2015La storia Balilla Gardini, soldato di fanteria che, dopo l’8 settembre, fu disarmato e internato nei campi di concentramento nazisti. Nonostante la possibilità di tornare libero “firmando per la R.S.I.”, scelse, insieme ad altri 600.000 italiani, di soffrire la fame e le torture del lager. È la storia dimenticata degli I.M.I.
L’8 settembre del ’43 fu una data storica per l’Italia, dopo la caduta del Fascismo del 25 luglio e l’illusione di una ritrovata libertà, smorzata dal proclama di Badoglio per il quale “la guerra continuava a fianco dell’alleato tedesco”, l’armistizio con la forze anglo-americane illuse che il conflitto mondiale fosse ormai giunto al termine. Dopo aver annunciato che “ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”, lo stesso Badoglio, insieme al Re e ai Capi di Stato Maggiore dell’esercito, fuggì verso il sud ormai liberato, senza impartire alcun ordine al già martoriato esercito, sparpagliato su più fronti e letteralmente abbandonato a se stesso. Ufficiali, sottufficiali e truppa si trovarono perciò isolati, con l’improvvisa notizia che il nemico era cambiato, non più gli inglesi, ma il tedesco che da tempo, sebbene militarmente alleato, mostrava la propria superiorità e prepotenza ai soldati italiani, arruolati in una guerra che mai avevano sentito propria, senza la giusta preparazione, l’adeguato equipaggiamento e gli adeguati armamenti. L’immagine del uomo invincibile in cui era cresciuto il soldato italiano durante il Ventennio, frutto di una propaganda volta a creare miti senza fondamento, si era infatti sbriciolata nel momento in cui l’esercito si era scontrato con la dura realtà del fronte, nella completa disorganizzazione e precarietà tipica di un Fascismo millantatore.
Già nel febbraio del ’42, in una lettera alla moglie, il soldato forlivese Balilla Gardini rende l’idea delle difficoltà in cui versava l’esercito italiano ogni giorno, anche nelle cose più semplici.
“Per fortuna è arrivato anche il secondo pacchetto da mezzo chilo, il salamino era guasto, ma non dubitare che non l’ho buttato, con la fame che abbiamo l’avrei mangiato anche se era in più cattive condizioni (…) Il mangiare che ci danno è poco, e qui non si trova niente (…) Di notte fa molto freddo e bisogna dormire uno sull’altro per sentirlo meno”.
La conseguenza del proclama badogliano fu immediata: la superiorità organizzativa e militare dell’ex alleato fece scattare l’Operazione Achse, con l’immediata occupazione del suolo italiano, il disarmo dell’ormai sbandato esercito e il suo internamento nei campi di concentramento tedeschi. Così avvenne anche fuori dai confini italiani, come in Grecia, dove interi reparti imbastirono con i tedeschi furiosi combattimenti (sulle isole di Cefalonia e Corfù i nazisti compirono un vero eccidio). Tra gli italiani ci fu chi abbandonò la divisa e si unì ai partigiani greci, chi si nascose tra la popolazione e chi, la stragrande maggioranza, fu disarmato, catturato e deportato con la menzogna di un rimpatrio dopo la consegna delle armi. Così, mentre gli anglo-americani si apprestavano a risalire la penisola e i tedeschi organizzavano la liberazione di Mussolini e la creazione dello Stato-fantoccio della R.S.I., 700.000 soldati italiani caddero nelle mani dei tedeschi.
Balilla Gardini
L’8 settembre, Balilla Gardini si trovava in Grecia, nei pressi di Zaverda, inquadrato come soldato semplice nel 12° Reggimento Fanteria “Casale”.
“Un’improvvisata ci reca il Comandante della Compagnia con in mano un fonogramma della resa delle armi in armistizio dell’Italia. La notizia desta la gioia di noi tutti, seppure che il pensiero vada ai tedeschi che non sappiamo quale contegno avranno a nostro riguardo”.
Due giorni dopo, Balilla e i suoi compagni vengono disarmati e fatti partire a piedi e su carri bestiame con la promessa di un rientro in Italia.
“Diventa sempre più critica, le guardie ci tengono sempre chiusi perciò i nostri servizi personali dobbiamo farli in qualche recipiente e gettarli dalla feritoia del carro.”.
Il primo “No” al Fascismo, Gardini lo pronuncia in quei giorni, lungo la strada per la Germania, quando l’illusione di un rimpatrio è ormai svanita.
“Ci rende visita un ufficiale italiano il quale chiede chi vuole andare coi tedeschi volontario, del mio carro nessuno aderisce, tutti siamo decisi a non andare coi fascisti, succeda quel che vuole.”
Stessa cosa il 12 ottobre, quando nel suo diario annota
“Entriamo in territorio tedesco, ovunque siamo offesi e derisi ma pazienza, noi rimarremo della nostra idea, non aderiremo ad andare coi fascisti!”.
Lungo il viaggio, i tedeschi compiono soprusi e furti ai danni dei soldati italiani: anelli, orologi, sigarette vengono requisiti.
“Uno che protesta perché ci hanno portato via la fede nuziale viene colpito vigliaccamente da una moschettata alla testa. Compiuto simile gesto, le guardie se ne escono ridendo”.
Giunti al campo di concentramento di Wietzendorf (successivamente Gardini verrà trasferito ad Allendorf, Fallingbostel e in una sezione per prigionieri di guerra di Bergen-Belsen) Balilla e i suoi compagni apprendono che la vita del prigioniero italiano sarà differente da quella degli altri rinchiusi. Hitler etichettò infatti i soldati italiani come I.M.I. (Internati Militari Italiani) non concedendo loro lo status di ‘prigioniero di guerra’ e la conseguente assistenza internazionale riconosciuta per diritto di prigionia. Niente Croce Rossa, niente visite nei campi, nessun cambio d’abito, pulizia o igiene personale. Il tedesco mirava a vendicarsi del tradimento italiano con la tortura, la fame, il freddo e la promessa di liberazione immediata in caso di arruolamento “volontario” nelle fila del nuovo esercito di Mussolini. Dei 700.000 catturati e internati, 600.000 risposero “No” e preferirono i reticolati e le angherie alla “libertà”, definendo una – purtroppo ancora poco conosciuta – forma di Resistenza che impedì a Hitler di sfruttare militarmente una moltitudine di uomini, e che portò alla morte di almeno 50.000 di questi per fame, freddo e omicidio. Nei campi in cui transitò, Gardini lavorò spesso come barbiere, il suo mestiere, mantenendo il suo ideale di rifiuto al Fascismo.
“Mi metto a lavorare, guadagno sigarette che mi serviranno per comperare patate dai prigionieri che vanno a lavorare dai contadini, però bisogna stare attenti a cucinare perché le guardie dove trovano fuochi accesi rovesciano tutto e picchiano come dannati. Tutte le mattine c’è il solito discorso propagandistico fatto da un ufficiale in divisa da fascista che ci esorta ad aderire, molti costretti dalla fame cedono, noi teniamo duro, piuttosto moriremo di fame, oramai abbiamo deciso”.
Medaglia d’Onore
La condizione di I.M.I. trasformò gli italiani in veri e propri schiavi in mano a Hitler, che li utilizzò nel lavoro forzato delle industrie e miniere. Spogliati di ogni diritto, sfruttati fino alla morte, sottonutriti, picchiati e umiliati costantemente, gli internati italiani presero coscienza di ciò che il Fascismo era stato per i giovani: un’illusione che li aveva traditi e imprigionati, facendo crescere in loro la consapevolezza di una libertà da ottenere anche con la morte nel lager, rifiutando di andare a ingrossare le fila del nemico o attuando piccoli atti di sabotaggio sul lavoro. Molti morirono senza tornare a casa, con poche notizie provenienti dall’Italia, dove le forze partigiane stavano organizzando una Resistenza parallela alla loro. In una delle ultime pagine del diario, con calligrafia indecisa, Balilla racconta una giornata di “lavoro” fuori dal campo.
“Sveglia alle 4 del mattino, chi indugia un attimo per alzarsi viene frustato di santa ragione. Adunata fuori per l’appello. Il freddo è pungente, rimaniamo inquadrati sino alle 6, siamo gelati dal freddo, finalmente si parte per il lavoro. Arriviamo sul posto alle 8 del mattino, abbiamo fatto 9 km a piedi, il brutto comincia adesso, ci vengono distribuiti picconi e badili e giù in un canale profondo 6 metri a scavare. Non ho mai fatto un lavoro così pesante non sono abituato, cerco di fare alla meglio per scansare qualche legnata. Finalmente arriva mezzogiorno, tutti aspettiamo che ci diano qualcosa da mangiare ma le speranze sono vane, ci fanno riposare mezzora al freddo, indi di nuovo giù a scavare. La giornata è interminabile, i piedi sono sempre bagnati dall’acqua che penetra nelle scarpe. Alle 17 si cessa e si riparte per il campo, altri 9 km a piedi con quella stanchezza e la fame, da ieri a mezzogiorno non mangiamo, si mangia una volta al giorno, più di questo non ci danno. Così si susseguono le giornate, la temperatura diventa sempre più fredda, non c’è giorno che non piova, anche se venisse giù il cielo il lavoro non viene interrotto. Si vedono scene che fanno pietà, gente che va a cercare nei rifiuti delle immondizie qualche buccia di patate o rape per potersi sfamare, gli ammalati aumentano ma difficilmente vengono riconosciuti dal medico tedesco se non sono in condizioni gravi. Chi ha febbre sino a trentotto gradi sarà punito e dovrà andare a lavorare. Bastonate e punizioni terribili per cose di lieve entità, offese, imprecazioni e minacce sono cose comuni. Senza parlare dei civili, donne, uomini o bambini tutti sono contro di noi. Di 400 che eravamo, dopo un mese di lavoro siamo rimasti 120. Per proteggermi le mani dal freddo e dai calli che si sono aperti ho tagliato i risvolti del cappotto e ho fatto un paio di rudimentali guanti La sera chiedo visita, ho 38 e 5 di febbre. Vengo pesato: kg 48,2 sono ancora tra i più grassi”.
Dopo venti mesi di prigionia, Balilla Gardini fu liberato dagli inglesi e poté finalmente riabbracciare la sua famiglia a la sua Forlì. Sopravvisse al lager grazie alla forza di volontà che, come lui, animò altri 600.000 italiani. Nel 2014, suo figlio Mauro, oggi settantenne, ricevette numerose medaglie e attestati in memoria del padre, che rifiutò di servire il l’invasore tedesco e non collaborò con la R.S.I. durante la Resistenza. La storia di Balilla Gardini diventerà un libro.